Il Giro d’Italia perde pezzi: Bradley Wiggins, vincitore del Tour de France 2012 e grande atteso alla vigilia della corsa, e Ryder Hesjedal, campione uscente, si ritirano. Che i due non stessero bene, del resto, lo si era capito da tempo. Hesjedal si era presentato ai nastri di partenza sfoggiando una condizione invidiabile nelle classiche del nord, ma poi in corsa era stato irriconoscibile: in difficoltà già nella crono di Saltara, suo terreno di caccia, è poi naufragato nella prima tappa alpina, a Montasio, dove ha accusato un ritardo di 20 minuti; in classifica era 38esimo, ad oltre mezz’ora di distacco da Nibali. Non ha fatto meglio Wiggins, disastroso in tutte le ripide discese del Giro (ben diverse da quelle più morbide del Tour…), staccato anche ieri in una tappa praticamente pianeggiante. Per entrambi la corsa rosa si è trasformata in un calvario a causa di problemi di salute. E oggi non si sono presentati al via della 13esima tappa, la Busseto-Cherasco, l’ultima frazione interlocutoria prima dell’inizio delle grandi montagne.

Senza di loro, il Giro – che già aveva dovuto rinunciare in partenza a Ivan Basso, vincitore delle edizioni 2006 e 2010, costretto al forfait da una cisti – rischia di perdere molto dal punto di vista dello spettacolo. Vincenzo Nibali è saldamente in maglia rosa, e non si vede chi possa insidiare il suo primato. Il secondo in classifica, Cadel Evans, è un lottatore straordinario, ma a 36 anni sembra troppo in là con l’età per reggere il ritmo nelle tre settimane. L’olandese Robert Gesink è solido ma non ha lo spunto in salita (e di qui alla fine del Giro non ci saranno altro che montagne) per mettere in difficoltà Nibali. L’unico pericolo potrebbe essere rappresentato da Rigoberto Uran, partito inizialmente come gregario di Wiggins, e poi guadagnatosi sulla strada i gradi di capitano (è terzo, con 2 minuti di ritardo). Ma se nel corso della tappa sull’Altopiano del Montasio il colombiano aveva potuto approfittare della marcatura tra Nibali e Wiggins per guadagnare secondi in classifica, adesso che il britannico si è ritirato tutte le attenzioni della squadra di Nibali (la forte Astana) saranno dedicate a stoppare le sue iniziative. Così, salvo crisi o imprevisti exploit, la corsa rischia di trascinarsi senza grandi emozioni fino al suo epilogo del 26 maggio.

Poco male, comunque, per gli organizzatori. Il nome di Bradley Wiggins – grande stella dell’edizione 2013, non accadeva da tempo che il vincitore del Tour scegliesse il Giro come suo obiettivo stagionale – è stato già ampiamente sfruttato per chiudere i contratti con gli sponsor e con le amministrazioni che si sono fatte avanti per ospitare una partenza o un arrivo di tappa. E’ il caso, ad esempio, di Brescia, che avrebbe messo sul piatto oltre mezzo milione di euro per aggiudicarsi l’ultima tappa della corsa (che non sarà a Milano, come da tradizione). A risentirne potrebbero essere, invece, gli ascolti tv: gli spettatori attendevano le grandi montagne per sintonizzarsi sulla Corsa Rosa (fin qui i risultati sono stati nella norma, la tappa di Montasio ha fatto registrare poco meno del 15% di share). Ma se non ci sarà nessuno in grado di attaccare Nibali, sarà davvero difficile replicare i record del 2008 sull’Alpe di Pampeago, o del 2010 sullo Zoncolan, quando il Giro in tv ha toccato picchi superiori al 30% di share.

Diverso il discorso sulle strade: qui gli spettatori sono attesi comunque numerosi, l’indotto della corsa non dovrebbe essere in pericolo. Perché andare a vedere il Giro è un grande rito sportivo, che prescinde dall’aspetto agonistico. Chi sale sulle grandi montagne (spesso in bici, a volte persino a piedi), lo fa per sfiorare i propri idoli, condividere la loro fatica, tornare a casa con una borraccia ‘rubata’. E dell’esito della tappa il più delle volte neanche si cura. Il Giro d’Italia è fatto soprattutto dalla passione dei tifosi. E questa è sempre stata più forte di tutto: dei tanti scandali che si sono succeduti nel corso degli anni, figuriamoci di un’edizione leggermente sottotono.

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