Sembrava spacciato, scomparso, evaporato. E  invece Gianfranco Miccichè, l’ex viceré di Sicilia, l’uomo di Silvio Berlusconi sull’isola, frontman della lunga stagione di successi di Forza Italia, è tornato: sottosegretario alla presidenza del consiglio nel governo Letta, con delega alla pubblica amministrazione e alla semplificazione. Grazie, soprattutto, ai buoni uffici dell’ex senatore Marcello Dell’Utri, tuttora sotto processo per concorso esterno in associazione mafiosa. Non male per l’uomo che dopo aver spaccato il Pdl in Sicilia, ha fondato un partito fai da te, Grande Sud, al quale però le urne hanno regalato alterne fortune. Solo negli ultimi dodici mesi Miccichè ha straperso le amministrative a Palermo, è arrivato quarto nella corsa alla presidenza della Regione e ha raggranellato appena lo 0,3 per cento alle ultime politiche, rimanendo fuori da Palazzo Madama.

Ma c’è di più: quel posto di sottosegretario Miccichè lo ha “scippato” a Francesco Cascio, l’ex presidente dell’Assemblea regionale siciliana, leader della corrente lealista del Pdl, con cui l’ex manager di Publitalia si è spesso scontrato aspramente. Cascio a quel posto di governo ci ha sperato parecchio. Ma alla fine, nonostante la fedeltà assoluta a B, è stato “stracciato” dal ribelle Miccichè, che si è preso una bella rivincita dopo che proprio  la corrente di Cascio aveva stoppato la sua candidatura a governatore della Sicilia, preferendogli invece il più presentabile Nello Musumeci. Tutto merito di Marcello Dell’Utri, sussurrano le alte sfere siciliane del Pdl.

L’ex senatore condannato in appello a sette anni per mafia in appello si sarebbe infatti speso molto con Berlusconi per assicurare a Miccichè una poltrona nel governo Letta. E infatti subito dopo l’elezione il primo pensiero l’ex manager di Publitalia lo dedica a lui: “Ringrazio Dell’Utri”, chiarisce in un’intervista al Corriere della Sera, perché come ha ripetuto più volte in passato “gli voglio bene come a un fratello”. Quella condanna in appello per mafia, rimediata recentemente dall’ex senatore, però ha fatto storcere il naso a qualcuno. “Quando scoprirò che è veramente mafioso non lo saluterò, ma io non ci credo” assicura Miccichè, che non si fa convincere neanche dalla sentenza della cassazione, che ordinando un nuovo processo per Dell’Utri considerava comunque provata la sua vicinanza a Cosa Nostra fino al 1977.  

Perchè a legare Miccichè a quello che per la procura di Palermo è “l’uomo cerniera” tra Berlusconi e Cosa Nostra c’è un rapporto antico e al tempo stesso strettissimo.  Un legame personale, nato quando Dell’Utri dirigeva Publitalia e Miccichè divenne uno dei manager di punta della concessionaria pubblicitaria berlusconiana. Poi arriva la politica, nasce Forza Italia e per guidare i partito in Sicilia, il Cavaliere e Dell’Utri scelgono proprio lui, il rampollo ribelle dell’aristocrazia palermitana che da giovane aveva addirittura militato in Lotta Continua. È così che Miccichè diventa il luogotenente dell’ex premier sull’isola, vero e proprio fortino forzista per venti lunghi anni. Dal 1994 al 2008 B in Sicilia è imbattibile: storiche le politiche del 2001 quando Forza Italia conquista tutti i 61 collegi dell’isola. “Vincemmo anche dove sembrava impossibile, anche dove dovevamo perdere” raccontano ancora oggi i militanti forzisti di allora. Miccichè è il frontman di quei successi, l’uomo che decide volti, slogan e candidature. Sua l’invenzione dell’allora sconosciuto Diego Cammarata a sindaco di Palermo. Il giorno dell’annuncio della candidatura, dopo aver “posato” l’altro nemico storico Ciccio Musotto, sui muri del centro comparve una scritta profetica: “Cammarata ma cu è? U sciacquino di Miccichè?”. Ciò nonostante i palermitani  votarono Cammarata in massa per dieci lunghi anni.

Nel frattempo però iniziava a spuntare nel Pdl siciliano una nuova generazione di fedelissimi che mal digeriva gli atteggiamenti del viceré berlusconiano. Una lunga lotta intestina che ha visto vari “prodotti” dell’epoca miccicheiana schierarsi col tempo su direzioni diametralmente opposte a quelle del capo. “Angelino Alfano? L’ho inventato io. Quando l’ho conosciuto non era nessuno. So di essere la persona più odiata da Alfano. Cosa peraltro ricambiata” dichiarava alla vigilia delle ultime elezioni regionali Miccichè , quando i mal di pancia dei vari Alfano, Cascio e Giuseppe Castiglione (anche lui nominato sottosegretario) avevano stroncato la sua candidatura a presidente per tutto il centrodestra.

Lui, forte del sostegno di Dell’Utri, aveva deciso di correre lo stesso, con il suo partito fai da te prendendo anche meno voti del Movimento Cinque Stelle e agevolando di fatto la vittoria di Rosario Crocetta. Poi però è tornato da Berlusconi, e  in vista delle politiche si era parlato della possibilità di utilizzare Grande Sud come “traghetto” per imbarcare gli impresentabili Cosentino e Dell’Utri. Ipotesi ventilata alla vigilia del voto e poi abbandonata dall’ex premier che aveva deciso di non ricandidare né l’uno né l’altro. L’ex senatore però adesso è andato a battere cassa. E Miccichè ringrazia.

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