Il disprezzo che Margaret Thatcher ha più volte dimostrato verso il calcio – “odiava il calcio e chiunque lo seguisse”, disse anni fa il suo ministro Clarke – è sempre stato ricambiato. E continua a esserlo anche dopo la sua morte, con la federcalcio inglese che ha raccolto i vari appelli dei tifosi e ha deciso di non fare osservare il minuto di silenzio sui campi. L’unico momento di raccoglimento sarà dedicato al 24° anniversario della strage di Hillsborough, lo stadio dove 15 aprile 1989 morirono 96 tifosi del Liverpool. Per responsabilità delle forze dell’ordine, come ha dimostrato la desecretazione dei documenti avvenuta lo scorso anno, che ha anche portato alla luce il ruolo del governo nell’insabbiare le prove, accusando per giunta gli stessi tifosi defunti.  

“Non siamo ancora riusciti provare il collegamento diretto tra l’operazione di copertura e l’allora primo ministro Thatcher – spiega oggi la presidentessa dell’associazione famigliari delle vittime della strage –, ma la campagna mediatica orchestrata dalla stampa conservatrice è stata evidente fin da subito, e questo vale più di qualsiasi appunto scritto di suo pugno”. Per questo nell’ultimo quarto di secolo in ogni stadio del Regno Unito sono stati innumerevoli i cori contro la Lady di Ferro e oggi il calcio inglese non le vuole tributare alcun omaggio. Ma quella strage è anche il punto di svolta: il football passa da essere il cuore delle comunità working class, cui tutti i suoi membri partecipano in vari modi, a un business quotato in borsa, dal quale la gente comune è tagliata fuori. Proprio il decennio che porta a Hillsborough, quello che vede regnare sul paese col pugno di ferro Lady Thatcher, è caratterizzato dall’epopea degli hooligans: un filo spesso nero, di estrema destra, che genera violenza e chiama repressione, come ha scritto più volte Andy Lions.

Negli stadi è incanalato il malcontento popolare che nasce altrove, nelle fabbriche e nelle miniere, e lì è contenuto attraverso leggi speciali volute dai governi presieduti dalla Thatcher: dal divieto di vendita degli alcolici (1985), a un’antesignana della tessera del tifoso (1989), fino al famoso rapporto Taylor all’indomani di Hillsborough (1990). Una legge quest’ultima che impone tutta una serie di misure, quali il rifacimento degli stadi, l’obbligo di posti a sedere, l’utilizzo di sicurezza privata e il conseguente aumento del prezzo dei biglietti, che portano alla nascita della Premier League. Negli stessi anni, infatti, diversi imprenditori grandi elettori e finanziatori della Thatcher, entrano nel calcio. Tra gli altri, l’australiano Rupert Murdoch, con l’aiuto dell’allora antennista e oggi baronetto Alan Sugar, ottiene dal governo l’esclusiva dei diritti televisivi dello sport più seguito nel paese per poco meno di 200 milioni di sterline. L’anno dopo, il primo in cui la Thatcher non è più al potere, nasce la Premier League, i cui diritti televisivi valgono oggi 5,5 miliardi di sterline e le cui partite sono trasmesse in 212 paesi per un’audience complessiva stimata in oltre 4,7 miliardi di spettatori. Un business che prospera nei paradisi fiscali della finanza e che non ha alcuna ricaduta, né economica né sociale, sulla comunità.

Così come la Lady di Ferro ha trasformato l’architettura sociale del paese, sostituendo la produzione di beni materiali con la finanziarizzazione ultraliberista dell’economia, così a lei va ascritta la nascita del calcio moderno. A distanza di anni l’effetto della Thatcher sul calcio pare identico a quello sul paese – spiega Owen Gibson del Guardian – nel bene e, soprattutto, nel male. Esempio è la squadra più vincente, il Manchester United, la cui proprietà è una serie di scatole cinesi nel paradiso fiscale del Delaware, fuori dalla città e dal paese. United che ha appena firmato con Aon un contratto che porta il totale degli sponsor a oltre 100 milioni l’anno, e ciò nonostante ha dovuto assumere un tecnico del suono: durante le partite allo stadio regna un assordante silenzio. Gli spettatori sono “mangiatori di sandwich ai gamberetti”, come li definì sprezzante l’ex capitano Keane, e facoltosi turisti. Non più la rumorosa working class, che non può permettersi il costo del biglietto (una settimana di stipendio) e diventa utente televisivo di uno spettacolo che si gioca altrove. Per questo non ci sarà alcun minuto di silenzio. Sono in pochi a essere grati alla Lady di Ferro e ai suoi epigoni per come hanno trasformato il calcio. Anche perché la violenza, l’unica medaglia che la stampa conservatrice cerca di appuntarle come battaglia vinta, in realtà non è stata debellata. Semplicemente è stata spostata nei parcheggi e nei pub fuori dagli stadi, nel cono d’ombra del fuoricampo televisivo.

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