Il 3 aprile 2013 la mia maestra di vita e di politica Lidia Menapace compie 89 anni, una età che ha fatto esclamare al mio figlio più piccolo (che la conosce e che nello stesso mese ne compirà 71 di meno): “Porco mondo, che numero”!

Un numero che quando indica una età mette soggezione, invita a riflettere sul senso dell’esistenza, e che in questa esistenza particolare incarna la fatica ma anche la forza di una donna straordinaria e discreta. Una donna che si è sempre espressa con la lievità dell’ironia dissacrante mantenendo nel tempo una rara disponibilità al dialogo e al confronto.

Se penso alla saggezza Lidia mi appare subito, ma non solo ora che è sulla soglia dei 90 anni: l’ho conosciuta saggia da ben prima, di una saggezza che ho ravvisato in lei oltre trent’anni fa, fatta non di capelli bianchi e rughe che segnano il volto, ma di quella alchimia seducente che rende decine di donne, anche molto più giovani di lei, delle “brain symbol” (altro che sex symbol), delle guide, fonti di ispirazione per migliorare noi stesse e le altre (e altri), nel proprio modo di operare nel mondo.

La mia agenda e quella di molte mie amiche attiviste e colleghe femministe è piena di nomi di donne così. Credo che tutte ci possiamo ritenere molto fortunate a conoscerle, talvolta ad averle come amiche: si tratta di donne di grande valore, competenza, intelligenza, creatività, onestà, coraggio e generosità.

Tutte donne sagge, raramente famose, sconosciute nella maggior parte dei casi al circo mediatico, ciascuna con talenti dei quali non solo l’Italia, ma il mondo intero avrebbero bisogno. Capacità che ciascuna prova, dove e come può, a condividere.

Il pantheon monosessuato nominato dal capo dello Stato Giorgio Napolitano fotografa non tanto e non solo la sua incapacità di vedere questa ricchezza, ma ben rappresenta il declino pericoloso in cui ci troviamo come Paese. Dice che nessuna donna è abbastanza saggia per essere davvero degna di essere chiamata ‘saggio’: è un po’ come quando si insiste sul linguaggio sessuato, affinché sia il maschile che il femminile vengano nominati nelle frasi, anche se, si sa, è il neutro (maschile) a rappresentare, ancora oggi, l’autorevolezza compiuta.

Allora, forse, è necessario cominciare a dire che non abbiamo bisogno di saggi, ma di donne incompetenti e folli. Donne che non hanno le competenze utili a reggere questo sistema escludente e iniquo, donne che non vogliono competere ma condividere.
Donne che non sono conniventi con chi ha tenuto in piedi un sistema di potere fine a se stesso, che non si sono messe in competizione per avere più denaro o più visibilità televisiva, per accaparrarsi il più ricco e famoso, né per sostenere lo status quo.

Condivido lo sdegno e la nausea espressa da molte donne per questa ennesima cancellazione del femminile, ma paradossalmente questa conferma mi pare sia stata un regalo. Se tra i ‘saggi’ si fossero buttati lì due o tre nomi di donne, anche strepitose e di unanime consenso, sarebbe stato come dare una mano di pittura fresca su un muro umido e scrostato: la gratificazione momentanea per zittire le solite folli incompetenti femministe che così non avrebbero potuto lamentarsi più di tanto. Vedete? Le donne ci sono, avrebbero detto. Senza che nulla cambi davvero.

Ci siamo, sì. Tante e in rete. Si lavora molto, dentro e fuori i luoghi dove si decide, perché cambino linguaggio, punto di vista, struttura di questa società ammalata.
Insieme agli uomini che pensano che la saggezza non sia dei saggi, ma di chi osa divergere sguardo e pratica quotidiana, per ridare senso, finalmente e di nuovo, alla politica.

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