Alla fine Pietro Grasso è il nuovo presidente del Senato. Un’elezione che per tutto il giorno ha messo a dura prova i nervi dei neo-eletti del Movimento cinque stelle che dopo aver perso per strada il loro candidato si sono trovati davanti al bivio cruciale: scegliere per l’ex pm antimafia oppure rischiare la conferma di Renato Schifani. Alla fine hanno scelto: libertà di voto. Indicazione arrivata, poco prima della quarta votazione, direttamente da Gianroberto Casaleggio. Parole arrivate dopo una breve telefonata di Beppe Grillo ai suoi e dove il leader di M5S ha commentato: “Il vero risultato è avergli fatto cambiare i candidati”. Frase diretta alla scelta di Bersani di calare gli assi di Laura Boldrini (presidente della Camera) e di Pietro Grasso (Senato).

Non c’è stata l’unanimità nella decisione del nostro gruppo”. Il senatore M5S Luis Alberto Orellana, candidato alla presidenza del Senato, lo ha spiegato al termine della riunione – definitiva stressante da un altro senatore  – in vista della quarta votazione per la poltrona di Palazzo Madama. “Come persone – ha aggiunto Orellana – non sono equivalenti: una è una scelta in continuità con il passato. Mi sono espresso personalmente contro la scelta del collega Schifani” ha concluso Orellana che ha rivelato che non c’è stato alcun contatto con Beppe Grillo

La riunione è stata turbolenta. Si sono uditi qualche timido applauso ma soprattutto urla e rumore di pugni sbattuti sul tavolo. La tensione è alta tanto che i senatori hanno chiesto si commessi di Palazzo Madama di allontanare i giornalisti che si sono raccolti numerosissimi sul corridoio antistante la Commissione Industria. E, prima che il voto sul sostegno a Grasso abbia inizio, Vito Rosario Petrocelli, eletto in Basilicata, ha abbandonato la riunione scuro in volto, senza lasciare dichiarazioni alla stampa. L’indicazione è stata quindi scheda bianca o nulla. Tanto che su Facebook il senatore M5S Maurizio Buccarella ha scritto: “Stiamo per votare al ballottaggio… e la discussione accesa tenuta nel gruppo non è stata sufficiente a dipanare tutti i dubbi di tutti quanti…”.

”Se vince Schifani, quando torniamo in Sicilia ci fanno un mazzo così” avevano detto i senatori siciliani presenti alla riunione. “Noi votiamo Grasso” . La posizione ufficiale del M5S, infatti, non vincola i senatori a votare il proprio candidato Luis Alberto Orellana, lasciandogli di fatto “libertà di voto”. “Amici. Libertà di voto. Senza contrattazioni e senza trucchi”. 

Già da questa mattina all’interno del Movimento 5 Stelle qualcuno l’interrogativo sulla responsabilità – “ma non vuol dire trattare col Pd”,  se l’era posto. Soprattutto davanti alla possibilità che Renato Schifani potesse diventare nuovamente presidente del Senato. La scelta adesso è questa. Votare Grasso, continuare a esprimersi al di fuori da ogni logica di compromesso.

Nella riunione prima del voto, la posizione di maggioranza era “Schifani o Grasso per noi poco cambia. E’ ovvio che preferiremmo il secondo, ma portargli i nostri voti è un gesto politico che va contro tutto quello che abbiamo detto fino a oggi”. L’altra posizione invece era espressa da una minoranza più tiepida che dice: “Intervenire senza scendere a patti sarebbe comunque una vittoria”. Ma era una minoranza appunto. 

Di certo la mossa del Pd di schierare due nuovi volti, Laura Boldrin (poi eletta) e Pietro Grasso qualche effetto tra i 5 Stelle l’ha avuto. È stato apprezzato il cambio di paradigma, mettendo sul tavolo due nomi lontani dall’apparato di partito. Anche se la linea rimaneva, fino alla riunione, sempre la stessa ossia quella di concentrare le preferenze solo sui 5 stelle eletti due giorni fa, Roberto Fico e Luis Alberto Orellana. A costo di non ottenere nessuna delle due presidenze.

“Sappiamo bene – diceva Manlio Di Stefano, deputato della Lombardia – quello che vogliono imporci gli altri, ma noi andiamo avanti per la nostra strada e facciamo il nostro lavoro. Siamo tranquillissimi – concludeva Di Stefano – ne abbiamo parlato tra di noi e continuiamo sulla nostra linea”. C’è chi ha spento il telefono già dalle prime ore del mattino per non essere disturbato nel secondo importante giorno di debutto e chi non si lascia avvicinare dai microfoni. “Cosa vi aspettavate? – dichiarava Mattia Fantinati, deputato del Veneto – . Noi siamo sempre quelli del Movimento 5 Stelle che eravamo anche fuori. Non basta entrare qua dentro per farci cambiare idea”.

Così da una parte c’è Bersani che continua in quello che Angelo Panebianco sul Corriere definisce un muro contro muro con il quale andrà a schiantarsi e dall’altra Beppe Grillo che, una volta sondati gli umori tra i suoi, si è ritirato a Genova, dove pensa già a esportare l’esperienza antipartitica all’estero e ha dato incarico ai suoi ambasciatori di sondare il terreno. Una tattica studiata quella di Grillo: la sua assenza a Roma in questi giorni è tutto meno che un caso. Sa che non ci saranno accordi, perché se l’è fatto dire in faccia. Sa anche che tutti i tentativi di scouting fatti da Bersani sono andati a vuoto. Il segretario del Pd lo aveva dichiarato in tempi non sospetti che avrebbe cercato reclute tra gli eletti del Movimento 5 stelle. Il 19 febbraio, all’Ansa, cinque giorni prima di ricevere dalle urne la doccia polare. “Se in Parlamento ci saranno i grillini, ci sarà da fare uno scouting per capire se intendono essere eterodiretti o partecipare senza vincoli di mandato. Non è una campagna acquisti, ma li testeremo sui fatti”.

Gli avvicinamenti ci sono stati. E uno dei missionari è stato Vannino Chiti, ex socialista, grande tessitore, incaricato di sondare il terreno per aprire un canale. Uno degli uomini più preziosi, nonostante sia eletto alla Camera, era nelle intenzioni Massimo Artini, ex compagno di banco di Matteo Renzi, imprenditore e molto indipendente rispetto alla linea ufficiale del Movimento. Artini nega che ci sia stato un contatto, ma fonti interne al Pd confermano che era uno degli uomini sui quali puntare. Ma il neodeputato toscano la porta non l’ha aperta, neppure uno spiraglio, dice lui, “perché nessuno di noi ha intenzione di perseguire una linea diversa da quella ufficiale”.

“A livello locale”, diceva l’eletto alla Camera Massimo Artini, “le cose sono cambiate. Se prima ci guardavano storto, ora nelle assemblee e nei consigli comunali cercano di venirci incontro. Che bella la democrazia partecipata così come la fate voi, ci dicono adesso. Se penso a solo qualche settimana fa quando ci deridevano o guardavano dall’alto in basso, direi che l’aria è davvero diversa”. Un patto silenzioso di non belligeranza, al quale dice Artini non corrisponde nessun contatto diretto: “Voi pensate che io abbia parlato con Matteo Renzi solo perché abbiamo fatto le scuole medie insieme. Assolutamente no, non lo sento da tanto tempo”. Ma non è solo il sindaco di Firenze ad aver potuto chiamare il neodeputato. Lapo Pistelli, responsabile esteri Pd, è l’altro nome che circola nei corridoi fiorentini: “Pistelli è cliente della mia azienda, ma vi assicuro che non ci siamo mai incontrati. E se mi avesse chiesto di vederci in questo momento, mi sarei presentato sicuramente con un’altra persona”. Altro corteggiatore doveva essere Vasco Errani, anche lui vecchio conoscitore dei corridoi della politica. Vive in Emilia Romagna, la culla del Movimento, è presidente della Regione, conosce il territorio come le sue tasche.

Ma i neoeletti hanno assicurato di non avere avuto nessuna proposta concreta. E comunque si sarebbero autodifesi, presentandosi all’incontro in più di uno o con un registratore a disposizione per le telefonate. “Escludo”, dice Manlio Di Stefano, deputato della Lombardia”, che i lombardi, deputati o senatori, siano stati contattati. Non è il momento. Siamo tutti presi in questioni organizzative e non abbiamo tempo da perdere”. Convinto lo stesso Alessandro Di Battista, tra gli eletti più esposti nel Lazio: “Se Franceschini o chi per lui mi avesse contattato, dopo un secondo avrei scritto un messaggio di denuncia su Facebook. A me non è arrivata nessuna notizia di questo tipo”. Anche il fronte dei senatori a 5 Stelle, quelli che sulla carta sarebbero più ambiti per il Partito democratico, risponde deciso di non essere a conoscenza di offerte o scambi. “Io non ne so niente”, diceva Andrea Cioffi, eletto in Sicilia, “e nemmeno gli altri del mio gruppo. Se ci fosse qualcosa da nascondere lo saprei. Mi sembra assurdo pensare che stiano cercando di comprarci uno ad uno”. Della stessa opinione Laura Bottici, senatrice toscana: “Nessuno mi ha cercato dal fronte Pd e non credo nemmeno per gli altri. Se fosse successo, ne avremmo sicuramente parlato tutti insieme nelle scorse riunioni a Roma”.

di Emiliano Liuzzi 

aggiornato da redazione web ore 17.06 

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