A Rebibbia non si vota, o comunque sono pochissimi ad averne la possibilità. E io anche in questo caso mi sento coinvolto e assorbito dall’ambiente in cui si svolgono le mie attività. Non che me ne dolga troppo. In effetti, non mi era mai capitato di arrivare a ridosso delle elezioni così indeciso. Nel mio infinitamente piccolo, anni fa, ho provato a fare persino attività politica, con tanto di propaganda e affissioni. Poi, non ho mai smesso di interessarmi vivacemente a tutto ciò che si muove nella società, prendendo parte a diversi movimenti civici. Oggi devo ancora decidere se e per chi votare; e dopo una campagna elettorale nauseante, sto peggio di prima.

Gli attuali assetti partitici, evitando di approvare una riforma elettorale che restituisse voce ai cittadini, hanno praticamente neutralizzato qualsiasi istanza di rinnovamento e la voglia di spazzar via una classe politica screditata, incompetente, troppo spesso corrotta, comunque autoreferenziale e volta unicamente all’autoperpetuazione.

Quella che chiamiamo “destra” italiana continua a essere occupata da Berlusconi con i suoi problemi personali. Si candida a guidare per la quinta volta il Paese, dopo averlo portato sul baratro, con una campagna televisiva battente a suon di promesse oscene e cifre sparate a casaccio. I suoi “tifosi” non lo abbandoneranno ma non credo possa convincere qualcun altro. Tra l’altro, si ripropone un’alleanza indecente con la Lega Nord. Credo che gli elettori leghisti siano, come quelli di sinistra, molto più esigenti in termini di moralità rispetto a quelli di Berlusconi (che si è guadagnato una quasi invidiabile totale libertà di fare e dire tutto quel che vuole, spudoratamente). Quindi Maroni sarà punito elettoralmente sia per gli scandali, sia per l’appoggio al Pdl volto solo a mantenere gli equilibri nelle regioni del nord. Salverà qualche voto solo perché alcuni esponenti sono gli unici ad avere radicamento nel territorio.

Uno degli effetti, diretti e indiretti, del berlusconismo è quello di aver ibernato la situazione politica italiana, ferma ai primi anni ’90. La senescenza talvolta degenera in rimbambimento e crea mostri come l’accordo tra Pannella e Storace.

Ma è dal Pd che, ancora una volta, giungono le note per me più dolenti. Se non bastasse una classe dirigente coriacemente arroccata, tutto è bloccato dalla varietà delle posizioni e da una politica delle alleanze a dir poco strabica: da un lato Vendola, dall’altro il continuo e perenne corteggiamento dei “moderati”. Quindi, totale incapacità di prendere una posizione chiara su un qualsiasi argomento. Avrebbero avuto gioco facile con una campagna basata sul fuoco di sbarramento contro la resistibile “rimonta” di Berlusconi, semplicemente ricordando agli italiani dalla memoria corta tutti gli sfaceli perpetrati in vent’anni di (mal)governo e dominio incontrastato della scena pubblica. Certo, proponendo qualcosa di nuovo e alternativo. Invece no, appiattimento e riproposizione del vecchio, con aumento della distanza (e del ritardo) rispetto al paese reale. Un caso per tutti: la Finocchiaro, più volte sonoramente bocciata dal voto dei suoi stessi elettori siciliani, sarà proposta per un incarico di altissima rilevanza. E Bersani che promette di provare a seguire Berlusconi persino nello “scouting” tra i futuri parlamentari. Non riesco a immaginare un solo motivo per cui il Pd dovrebbe guadagnare consensi rispetto alle precedenti elezioni.

Il partito di Vendola è molto più “sinistra” che “ecologia”. La posizione assunta nel caso Ilva fa emergere un’impostazione vetero industrialista e sindacalista, tipica dell’apparato del Pci di provenienza. Credo sia piuttosto antistorico continuare a contrapporre le ragioni del lavoro a quelle della salute. Uno dei pochi effetti positivi dell’attuale crisi economica è quello di accelerare la maturazione di un profondo ripensamento dei modi di produzione, dei modelli di consumo e di comportamento, dell’idea stessa della società. La struttura partitica e concettuale di Sel non mi pare consenta di raccogliere sfide di questa portata.

Monti ha fatto una scelta per me inspiegabile: anche nei giorni più drammatici dei tagli operati dal suo governo, godeva di un ampio consenso popolare che derivava semplicemente dall’impressione di essere alternativo ai partiti. Poteva restarsene in attesa di una nuova chiamata a salvare un paese ingovernabile (come emergerà dopo le elezioni). Invece ha deciso non solo di “salire in politica”, ma di scendere nella mischia adeguandosi ai temi e tempi di una campagna elettorale molto lontana dallo stile sobrio che pareva dimostrare. E con chi? Con i peggiori campioni della vecchia partitocrazia, un’armata di reduci (che sarebbero altrimenti spariti dalla scena) che annovera tra i suoi colonnelli un certo Buttiglione, solo per fare un esempio minore.

Oscar Giannino avrebbe tolti pochi voti a Berlusconi; ora nessuno.

Ingroia porta avanti una sacrosanta battaglia per la legalità e la giustizia sociale. Purtroppo Rivoluzione civile non ha avuto il tempo di radicarsi e si è appoggiata su improponibili pseudo-comunisti e pseudo-verdi, oltre che sull’Idv che paga scelte improvvide di candidati di indubbia immoralità. Queste “forze”, tutte insieme, non raggiungeranno neanche la metà dei suffragi del miglior Di Pietro.

Insomma, questa volta sarà veramente difficile scegliere il meno peggio. In alternativa all’astensione moltissimi sono pronti a buttare tutto in caciara e fare il saldo nel buio del Movimento 5 stelle. Ma è davvero pericoloso. Alla fine, c’è un solo fatto su cui sono pronto a scommettere: se andremo a vedere i valori assoluti, tutti perderanno voti tranne le ultime due opzioni poc’anzi menzionate. Piaccia o non piaccia, astensionisti e Grillo saranno gli unici vincitori.

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