Non usciranno. Minacceranno a gran voce di farlo, invocheranno Monti, ma non consumeranno il passo decisivo verso il mare aperto delle prossime elezioni. Si riuniscono a Roma, al Teatro Olimpico, sotto le bandiere di “Italia Popolare”, uomini e donne che considerano il vecchio Pdl un arnese ormai da rottamare e che guardano al premier con la speranza di chi vuole non solo riciclarsi, ma anche cavalcare un’onda di ricostruzione del centrodestra che pare possa passare solo tra le mani del Professore. L’orizzonte è dunque Monti. E tocca a Monti, secondo questi malpancisti del Pdl, da Frattini ad Alemanno, passando per Sacconi, Lupi e Cicchitto, “costruire la coalizione, federarla, unirla”. Dice Gaetano Quagliariello, vicecapogruppo vicario del Pdl al Senato: “Intendiamoci: nessuno chiede al premier di passare sopra a tutto. Ci dovrà essere un programma e l’adesione a questo sarà un limite invalicabile. Ci saranno dei principi netti, dei valori chiari. Ma per riaprire una prospettiva di vittoria tutti dovranno mettere completamente da parte tatticismi e veti”. Monti chiede garanzie? “Ed è evidente che noi dobbiamo essere pronti a darle. Sarà il premier a guidare la prossima fase politica. Credo che ci siano tutte le condizioni per far nascere in pochi giorni una confederazione dove chi confedera potrà assumere la golden share. Ripeto: “Monti potrà chiedere che ci sia l’adesione a un programma, a dei principi anche comportamentali e mettere paletti. Ma ripeto: sarebbe un errore porre veti”.

E fin qui i desiderata di questi naufraghi in cerca di approdo che, però, non tengono conto di una realtà. Che Monti, al massimo, potrà farsi sponsor di una parte. E mai brucerà il credito (soprattutto internazionale) accumulato in questo anno di governo prendendo sulle spalle l’onere di ricostruire il centrodestra a così poca distanza di tempo dalle elezioni. Insomma, il fattore Monti è una carta che questi ex berlusconiani di ferro stanno giocando in prospettiva. Nell’immediato, però, a dare le carte è rimasto il Cavaliere. Che sta ancora tentando di fare un accordo con la Lega. Le ultime parlano di un Berlusconi in campo, ma solo come leader, non come candidato premier. A fare il candidato di coalizione andrà Angelino Alfano. E’ quello che pretende Maroni per stringere il patto. La conquista della Lombardia, infatti, ha un duplice ruolo; garantire a Maroni il controllo del Pirellone ponendo l’ultimo tassello che manca alla costruzione, con Piemonte, Veneto e Friuli, della “macro regione europea” controllata dalla Lega. E al contempo mettere una pesante ipoteca sul controllo del Senato da parte della coalizione Pd-Sel nella prossima legislatura. I paradossi del Porcellum, infatti, parlano chiaro: Berlusconi e Maroni possono anche perdere le elezioni nazionali, ma con la conquista della Lombardia, del Veneto e della Sicilia, si renderebbero fondamentali per la maggioranza al Senato. Ecco perché, nonostante le apparenze, la trattativa non si è mai interrotta e l’affaire Monti non ha cambiato neanche di un millesimo la partita in gioco. Anche perché Berlusconi ha capito che il Professore sta giocando decisamente contro di lui, non contro Bersani. Ma sa anche che a Monti non conviene schierarsi adesso. Meglio aspettare il responso delle urne. Casomai potrà dare il proprio endorsement al partito di Riccardi e Montezemolo che vedrà la luce nei prossimi giorni, ma nulla di più: il professore non è uno che gioca senza aver chiara la possibilità di vincere su tutta la linea. E questa certezza, al momento, non c’è. Né ci sarà tra breve. A conti fatti, gli analisti sembrano concordi nel sostenere che la sponsorizzazione di Monti della lista dei centristi non aggiungerà grandi percentuali allo scacchiere elettorale.

Un partito montiano, insomma, ad oggi non supera il 10%. Diverso il discorso se Monti prendesse la guida apertamente del centrodestra, facendo convergere su di se anche l’Udc di Casini. Sarebbe una carta, questa, capace di arrivare anche al 30% dei voti, ma non è nell’aria niente del genere a breve; il tempo è troppo poco.

Si va dunque sullo schema antico. E di qui c’è la necessità del Cavaliere – ma anche di Maroni – di chiudere al più presto la partita. Alfano candidato premier sta bene ad entrambi (tanto non ha possibilità di vittoria) e Maroni darà fuoco alle polveri sulla Regione. Dentro il Carroccio, non ci sono dubbi, l’accordo sarà vissuto malissimo soprattutto dai leghisti veneti, ma a Maroni importa poco; prima il Pirellone, poi penserà al partito. Domani, a cena, Berlusconi e Maroni si rivedranno ad Arcore, ospiti anche Calderoli e Letta chiamati a suggellare l’eventuale intesa che il leader leghista porterà lunedì a via Bellerio per la ratifica da parte del consiglio federale.

Nel frattempo sarà anche passata la grancassa della nascita di “Italia Popolare”, una federazione “che vale si è no il 2% – ha detto Alessandra Ghisleri al Cavaliere – ma che danneggia ulteriormente l’immagine del partito”. Ma ormai è andata. Anche se, nelle ultime ore, proprio Angelino Alfano si è dato da fare per addolcire i toni dell’iniziativa, per non bruciare ulteriore terra sotto i piedi del Pdl che, a questo punto, sarà il partito con cui si presenteranno alle elezioni. Meglio non scherare. Più passano le ore, più gli scissionisti filo montiani in cerca d’autore si stanno rendendo conto di un fatto: sono loro a volere Monti, ma questo amore non è affatto corrisposto. Anzi. E rimanere da soli in mezzo al mare, di questi tempi, non conviene a nessuno. Soprattutto con il cuore spezzato.

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