Sulla homepage di Wikipedia Italia oggi campeggia un comunicato dai toni estremamente preoccupati. Il tema, tanto per cambiare, è il disegno di legge in materia di diffamazione che in queste ore viene discusso in Senato. Una legge che obbliga anche i siti Web a provvedere alla rimozione di eventuali contenuti diffamatori e alla rettifica. Le pene pecuniarie previste per l’inosservanza, sono pesantissime: fino a 100.000 euro. Ma è tutto vero? I nostri parlamentari vogliono davvero mettere il bavaglio al web? A leggere le dichiarazioni di chi ha proposto l’estensione al Web, si dovrebbe dire di no. Peccato che l’emendamento a firma del Sen. Mugnai (Pdl) estenda il trattamento ai “prodotti editoriali diffusi per via telematica, con periodicità regolare e contraddistinti da una testata”. Una definizione tutt’altro che chiara e che lascia spazio a interpretazioni. Wikipedia, per esempio, è sicuramente contraddistinta da una testata. Rientra nella norma? Chi lo sa. Potremmo non scoprirlo mai.

L’elemento liberticida in questo emendamento non è tanto il suo contenuto, quanto la sua indeterminatezza. A dirimere la questione dovrebbe essere ovviamente un tribunale e la conseguenza logica è che lo faccia nel corso di un processo. Un processo, però, è probabile che non ci sarà mai. Quale dei volontari che contribuiscono gratuitamente a Wikipedia vorrà correre il rischio di essere trascinato in tribunale col rischio di vedere il suo patrimonio dissanguato (anche solo dalle parcelle degli avvocati) per aver trattato argomenti “a rischio”? Nessuno. Se il ddl passerà, è molto probabile che nessuna delle persone che oggi pubblicano (gratis) contenuti divulgativi su Wikipedia si azzardi mai più a occuparsi di questioni che possano, anche lontanamente, sollecitare l’interesse di qualcuno che si possa sentire diffamato dai suoi contenuti.

Se il ddl passerà così com’è stato presentato, potremo dire addio a Wikipedia. Poco male. Rimarrà più spazio sul web per pubblicare foto di gattini, ricette di cucina e poesie.

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