Ben oliato dalle mortifere unzioni del ministro Profumo, l’infernale meccanismo della legge Gelmini continua imperterrito a macinare macerie universitarie. Mentre la tragicommedia dell’abilitazione fa schizzare alle stelle i contatti di Roars, arriva negli atenei italiani il fatidico momento della nomina dei nuovi organi di governo: su tutti, gli onnipotenti Consigli di Amministrazione.

 I CdA della rivoluzione gelminiana sono un deciso passo in avanti verso il modello aziendale. Innanzitutto sono loro attribuiti tutti i poteri e le decisioni su corsi di laurea, tasse studentesche, bilancio, organizzazione interna, distribuzione di fondi e risorse, reclutamento. Inoltre sono composti da solo 11 consiglieri, almeno tre dei quali devono essere i famigerati consiglieri esterni all’ateneo: personalità di “comprovata competenza in campo gestionale ovvero di un’esperienza professionale di alto livello con una necessaria attenzione alla qualificazione scientifica culturale”.

Via il potere dai baroni, dunque? Beh, non esageriamo! La legge Gelmini ha gattopardescamente affidato i dettagli del processo di “rinnovamento” degli atenei…proprio agli organi di governo uscenti! Questi hanno ovviamente pensato a rinnovare in primis il loro stesso potere, evitando con cura di condividere le decisioni con personale e studenti. Inoltre, a scanso di equivoci, la nomina dei membri del CdA verrà gestita dagli attuali imperettori in persona: sono stati tutti graziosamente prorogati fino ad ottobre 2013 “allo scopo di garantire una corretta transizione al nuovo ordinamento”, con un codicillo sepolto ad arte da Profumo nella spending review. Detto questo, la novità dei CdA resta comunque forte così come è forte l’interesse sui membri esterni: chi saranno? E davvero serviranno a rivitalizzare atenei stremati da tagli, baroni e riforme?

All’Università di Torino il processo di nomina del CdA è in pieno svolgimento. La nomina finale dei tre membri esterni spetterà al rettore: ricercatori e studenti sono però riusciti ad ottenere che i nomi dei cinque candidati vengano sottoposti ad una consultazione elettorale, anche se non vincolante.

Ma ancor prima che questa consultazione si tenga già si capisce che il parere degli elettori non è affatto gradito. I nomi dei candidati sono stati infatti resi noti dall’Ateneo solamente sei giorni prima della consultazione (weekend incluso), invece dei 15 previsti dal regolamento. Oltre ad un ex docente dell’università ci sono il segretario della Camera di Commercio, il direttore della fondazione Agnelli, la direttrice del Circolo dei Lettori e un responsabile d’area dell’Unione Industriale. Si vota a partire da domani, e dei candidati esterni sono note solo le due paginette del curriculum.

Ciò che preoccupa è che nessuno di questi “esterni” si sia pubblicamente lamentato per la mancanza di tempo prima della consultazione. Non solo: nessuno ha manifestato la disponibilità ad un incontro con personale e studenti per illustrare idee e programmi. Nessuno di quelli che si candidano per governare l’università ha sentito l’esigenza di ascoltare la voce di coloro che l’università la fanno vivere, nelle aule, nei laboratori e negli uffici: 4.000 dipendenti (senza contare le sempre imprecisate centinaia di precari) e circa 70.000 studenti.

Per non parlare poi di questioni forse (per loro) triviali: come pensano i consiglieri di conciliare i loro attuali impegni professionali con il tempo richiesto per guidare un maxi-ateneo che presenta un bilancio annuale di oltre 800 milioni di euro? Come pensano di gestire i mille possibili conflitti di interesse? Non lo sappiamo. Nemmeno dieci righe che ci dicano qual è la loro visione strategica, neanche una twittata su tasse, valutazione, offerta didattica o reclutamento. Domani gli elettori andranno ad esprimersi in piena irregolarità e senza informazioni su dei candidati che, da parte loro, non hanno neanche fatto lo sforzo di dissimulare il loro disinteresse per le opinioni della base.

Se il buongiorno si vede dal mattino è facile prevedere tempi duri per gli atenei, ma i futuri consiglieri di UniTo non si rilassino pensando di averla fatta franca. Negli anni gli studenti e i ricercatori torinesi hanno imparato a coordinarsi  per promuovere un’università trasparente e democratica. Se dall’alto non ci sarà ascolto, dal basso si alzerà la voce per portare le decisioni del futuro CdA al centro di un dibattito pubblico, nell’interesse del bene comune.

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