Con l’inizio delle gare di atletica, il Parco Olimpico già preso d’assalto nella precedente settimana olimpica diventa ancor più frequentato. Aumentano così anche i controlli e le misure di sicurezza, già esagerate oltre ogni limite. E la distanza che separa ciò che avviene all’interno del perimetro olimpico – una zona temporaneamente autonoma sia dal punto militare sia da quello economico – e all’esterno – una città regolata dalle leggi del Regno Unito – si fa abissale. Da un punto di vista giuridico diversi accademici teorizzano l’esistenza di due luoghi diversi, dove vigono legislazioni differenti. Uno è la città di Londra, luogo soggetto alle leggi del Regno Unito, l’altro il Parco Olimpico, non luogo ‘eccezionale’ dove vigono leggi economiche e militari speciali ed extraterritoriali.

Il Parco Olimpico è una zona circondata da 17,5 chilometri di muro, con filo spinato e voltaggio elettrico superiore ai 5mila volt, intervallato da 900 telecamere (ogni 50 metri circa) a circuito chiuso. Disposte in modo da “impedire la minaccia che un individuo possa tentare l’accesso”, come riportato dall’apposito Code of Practice. “Al di là delle immediate implicazioni orwelliane sullo stato di una nazione che si presenta patria delle libertà individuali e poi teme la libertà dell’individuo come minaccia per l’intero sistema – racconta Mike Wells, giornalista attivista che vive in una barca ormeggiata in un canale a poche centinaia di metri dal Parco -, quello che risulta evidente è una contraddizione enorme tra le loro promesse di ‘festa olimpica’ e la paranoica realtà di un’immensa prigione”.

E tra scanner e metal detector, cecchini sui tetti dello stadio e missili sui tetti delle case, spazio aereo controllato dal Ministero della difesa per la prima volta dai tempi della seconda guerra mondiale e fregate militari che stazionano nel Tamigi, non tutto sembra essere andato per il meglio. Tra continui allarmi e palesi falle nel sistema. “Questo è il gioco. Si pensi come esempio alle esercitazioni fatte in questi mesi intorno al Parco Olimpico, dove erano usate come comparse persone amputate per rendere più credibile un possibile attentato – dice Matt Carr, accademico e analista militare -. Creare attraverso imponenti misure di sicurezza e continuo allarmismo un clima di paranoia che sia funzionale al controllo sociale, a detrimento delle libertà civili fino ad ora conquistate”.

“La ragione del red teaming (utilizzare il nemico al proprio interno per rinforzarsi, strategia adottata nel nuovo millennio dalle grandi corporation e degli eserciti ndr) in ambito militare è che ‘la sicurezza nazionale debba essere protetta anche a discapito della debolezza umana dell’individuo’ – continua Carr -. Un’assurdità da b-movie hollywoodiano, se non fosse che è messa in pratica costantemente all’interno di stati che si professano democratici. Dove la prima vittima è il diritto al dissenso”.

E se il Ministero dell’Interno britannico annuncia che “assicurare la sicurezza ai Giochi di Londra 2012 è stata la più complessa operazione militare di sempre per la Gran Bretagna”, ecco che l’Olimpiade assume più valore strategico di una guerra. E la profezia distopica orwelliana di 1984, con soli 28 anni di ritardo, si realizza.

Oltre alle leggi speciali militari, non bisogna neppure dimenticare le leggi speciali economiche per favorire gli sponsor, cui è stato concesso di non pagare tasse sui profitti olimpici, come qualsiasi altro soggetto giuridico deve fare. E cui è stato concesso il monopolio della vendita dei loro prodotti, fino al punto di renderlo lesivo delle libertà personali dell’individuo – spiega Isaac Marrero-Guillamón, ricercatore -. Durante le Olimpiadi di Londra si è realizzato quello ‘stato di eccezione’ teorizzato dal filosofo italiano Agamben come la legittima, nel senso di legalizzata, sospensione del diritto. E se finora i paradigmi più utilizzati erano stati i campi di concentramento nazisti e la prigione di Guantanamo Bay. Adesso c’è anche l’Olimpiade di Londra 2012”.

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