Marina Grossi, l’ex ad di Selex e moglie dell’ex presidente di Finmeccanica Pierfrancesco Guarguaglini, potrebbe essere rinviata a giudizio. Lo ha chiesto la Procura di Roma e la stessa richiesta è stata inoltrata anche per altre cinque persone. Tutte sono coinvolte nel filone di inchiesta sulle presunte irrogolarità legate agli appalti Enav: quello relativo alla corruzione di un membro del cda Enav, Ilario Floresta.

I pm Paolo Ielo e Giovanni Bombardieri hanno sollecitato il processo, oltre che per Grossi e Floresta, anche per Tommaso Di Lernia, titolare della Print Sistem, Marco Iannilli, commercialista, Lorenzo Cola, ex consulente esterno di Finmeccanica e titolare della Arc Trade, e Manlio Fiore, ex direttore commerciale di Selex. Le indagini si concentrano sui versamenti a Floresta, espressione del Pdl all’interno del Cda Enav, per assicurare a Selex Sistemi Integrati, senza gara, l’appalto per la realizzazione del sistema Ads-B, che consente il monitoraggio continuo degli aerei in volo. A tutti gli imputati, per fatti avvenuti tra il 2009 e il 2010, è contestato il concorso in corruzione.

Per l’accusa Iannilli, d’intesa con Cola, il quale avrebbe agito di concerto con Grossi e Fiore, avrebbe promesso a Floresta 15mila euro al mese (una sola tranche versata da Di Lernia) su conti intestati a Floresta in Egitto e attraverso società cipriote riconducibili allo stesso Di Lernia. Non solo, Iannilli avrebbe dato al membro del Cda 299mila euro per l’acquisto di una sua casa, della quale voleva liberarsi, a El Gouna (Hurghada), in Egitto, e promesso di assegnare una commessa relativa all’Ads-B a una società alla quale era legato suo figlio. Per Marina Grossi è la seconda richiesta di rinvio a giudizio fatta dalla procura di Roma dopo quella per un giro di false fatture per operazioni inesistenti.

Intanto ieri la Cassazione ha messo nero su bianco che nella vicenda degli appalti dell’Enav è stata provata “l’esistenza di una sistematica attività di corruzione di pubblici ufficiali diretta a favorire la società Selex nell’assegnazione e nella gestione degli appalti dell’Enav”. Questo è quanto scritto dalla suprema Corte per spiegare l’inammissibilità il ricorso di Floresta, ex parlamentare di Forza Italia e componente del Cda dell’Enav. Al politico infatti il Tribunale di Roma, il 21 febbraio scorso, ha disposto il sequestro preventivo sulle somme esistenti sui rapporti finanziari accesi presso la Banca di credito cooperativo di San Marco di Calatabiano, nello specifico sui beni immobili indicati fino alla concorrenza di 250mila euro.

Secondo le dichiarazioni di Tommaso Di Lernia e Marco Iannilli, subappaltatori di Enav e Selex Sistemi integrati, Floresta avrebbe ricevuto una cifra pari proprio a 250mila euro per acquistare un immobile in Egitto. Il forzista, coinvolto in indagini per gli appalti nel settore dell’aviazione, avrebbe messo in atto delle sovrafatturazioni che sarebbero servite, scrive la Cassazione, per “creare fondi neri solo in parte impiegati per illeciti finanziamenti a partiti e/o parlamentari”.

L’immobile in Egitto è rimasto di proprietà di Floresta, che ne ha simulato l’intento di un preliminare di compravendita – perché “aveva bisogno immediato di denaro”, spiega la Cassazione – ricevendo 250 mila euro da Marco Iannilli, supappaltatore di Selex e Technosky. Quest’ultimo aveva versato la somma agendo di intesa con Lorenzo Cola. Nel dichiarare “inammissibile” il ricorso di Floresta con tanto di condanna a versare mille euro alla Cassa delle ammende, la Cassazione – nelle motivazioni depositate ieri e relative all’udienza svoltasi il 13 giugno – rileva che si tratta di una “dazione” molto “elevata”, transitata da conti “da e verso l’estero” da parte di “uno dei soggetti interessati a favorire la Selex in favore del Floresta, all’epoca componente di quel consiglio di amministrazione”.

Nel concordare sul fatto che i 250mila euro sono una tangente, i supremi giudici mettono l’accento sulla totale “assenza di qualsivoglia elemento o documentazione atto a giustificare la consegna di quell’importo”. Inoltre la Cassazione non crede che Floresta – come ha tentato di sostenere la sua difesa – “avrebbe avuto una conoscenza limitata delle pratiche curate dal cda Enav, di cui aveva iniziato a fare parte solo dal luglio 2009”. I supremi giudici ricordano poi come l’imprenditore Tommaso Di Lernia – altra fonte dell’inchiesta – con dichiarazioni attendibili, ha riferito di “aver effettuato la consegna al Floresta di 15mila euro, coerentemente con quanto fatto già in precedenza periodicamente in favore dello stesso Floresta e di altri componenti del cda Enav” che, in pratica, si facevano versare dai privati un altro ricco stipendio.

Con questa sentenza è stata convalidata l’ordinanza emessa dal Tribunale di Roma lo scorso 21 febbraio. Nella stessa udienza del 13 giugno, la Cassazione – con la sentenza 25651 – ha dichiarato inammissibile il ricorso con il quale l’ex presidente dell’Enav Bruno Nieddu chiedeva il dissequestro di 200mila euro prendendo atto della decisione dei suoi difensori di ritirare il ricorso. Per il filone della corruzione negli appalti Enav, la Procura di Roma ha comunicato la chiusura delle indagini lo scorso 16 aprile. 

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