Giovanni Tizian, 4 euro a pezzo e la vita sotto scorta. La sua storia alza il velo su rischi e condizioni di lavoro dei precari dell’informazione. Quanti Tizian ci sono in Italia? Quanti giornalisti sono stati ridotti a bersaglio? Sono diverse centinaia ogni anno. A tenere la contabilità è “Osservatorio ossigeno”, un gruppo di lavoro che dal 2006 traccia il fenomeno dei giornalisti nel mirino in collaborazione con federazione della stampa (Fnsi) e ordine dei giornalisti (Odg).

Il rapporto denuncia solo nel 2011 95 casi di intimidazione a danno di 324 cronisti lasciati soli davanti alle minacce. Dal 2006 sono 925 i casi segnalati, dal primo gennaio 2012 19. Nella maggior parte dei casi si tratta di azioni gravi e violente. Nicola Lopreiato scrive per la Gazzetta del Sud e il 6 gennaio ha ricevuto dal carcere una lettera di minaccia inviata dal boss Leone Soriano. Eppure non ha fatto notizia. Il giorno dopo una bomba esplode davanti al portone di casa di Nello Rega, giornalista che lavora per Televideo Rai.

Pochi giorni ancora e balza finalmente agli onori della cronaca il caso di Giovanni Tizian. In un’intercettazione tra mafiosi si progetta di ucciderlo. E lui finisce in prima pagina. Perché? Perché la sua vicenda condensa perfettamente i due mali del precariato nel giornalismo: la massima esposizione personale abbinata al minimo compenso economico possibile, 4 euro lorde. Ma i giornalisti precari rischiano la vita anche per meno. Perfino per un albero. Antonio Gregolin è l’ultimo dell’elenco, la new entry. E’ un cronista precario che scrive per il Giornale di Vicenza. A metà gennaio è stato preso a bastonate dopo un articolo. E non aveva denunciato ecomafie, ‘ndgranghetisti o chissà quale lobby. Aveva difeso un platano secolare che un privato voleva abbattere. Dopo il suo articolo di denuncia è stato seguito, colpito alle spalle con un bastone, preso a calci mentre era a terra e minacciato di morte. Per un platano e 22 euro lordi. Si rimane basiti dal silenzio delle istituzioni di fronte a questi casi. Peggio.

A scorrere il report si moltiplicano i tentativi di condizionamento e censura praticati da amministratori pubblici, magistrati e poliziotti attraverso un altro tipo di minaccia: il ricatto economico. Fioccano diffide e annunci di querela su giornalisti precari che proprio per la loro condizione sono più facilmente ricattabili. Leonida Ambrosio dirige il periodico online “Una pagina” di S. Giuseppe Vesuviano (NA). Per aver raccontato retroscena dello scioglimento del comune per infiltrazioni camorristiche ha ricevuto una richiesta di danni per 200mila euro, richiesta che incredibilmente è stata portata avanti perfino dai commissari prefettizi che sono subentrati all’amministrazione disciolta. Un bel libro sul tema lo ha scritto Raffaella Cosentino che ha passato in rassegna alcuni casi di giornalisti divenuti besaglio in Calabria. Si chiama “Quattro per cinque” e racconta storie come quella di Angela Corica, cronista di Calabria Ora che per quattro centesimi si è beccata 5 proiettili sparati da cecchini sulla sua auto.

Così intimidazione e precarietà vanno a braccetto e trasformano il mestiere del giornalista nel “cottimista dell’informazione”. I precari se ne sono accorti da tempo. Negli ultimi anni hanno scoperto la loro condizione di “gruppo” e si sono moltiplicate le iniziative dal basso, come la Carta di Firenze che stabilisce un codice deontologico fra colleghi o i tentativi di “contarsi”. Il 16 febbraio nella sala della Pace della Provincia di Roma il coordinamento di giornalisti precari di Roma “Errori di Stampa” presenterà i dati del primo censimento sul precariato dell’informazione nella Capitale, redazione per redazione, con i tariffari reali dei compensi di 2mila giornalisti. Il tam tam corre sulla rete che permette alle firme precarie di conoscersi e riconoscersi, di rompere la solitudine tipica dei lavoratori invisibili. Sui social network, come nelle piazze, si mobilitano collettivi strasverali, coordinamenti regionali, gruppi di lavoro, associazioni: “Firme precarie”, “Refusi”, “Errori di Stampa”, “SottoPRESSione” sono alcuni nomi nuovi. Su Twitter corre l’ashtag #4euroalpezzo in cui si cinguettano storie di sfruttamento e sacrificio. Il muro di gomma dei colleghi “interni” che “non leggono neppure le mail”. Di pagamenti mai arrivati. Sono i 4 euro di “Siamo tutti Tizian”, come recita il gruppo Facebook nato in solidarietà al cronista sotto scorta e calamitato il 26 gennaio davanti a Montecitorio per dire basta sfruttamento, tutti insieme. Per non farla finita come Pierpaolo Faggiano, ex collaboratore della Gazzetta del Mezzogiorno che si è ucciso a giugno a causa delle pessime condizioni lavorative: a 41 anni veniva pagato ancora sei euro a pezzo. Lorde.

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