Il piano approvato ieri dal parlamento greco rappresenta un passo in avanti fondamentale nel lungo percorso verso la salvezza dell’economia nazionale. Ma di certo non costituisce di per sé la condizione sufficiente per scongiurare definitivamente il default. Lo hanno spiegato bene i mercati, che hanno accolto senza troppo entusiasmo la decisione di Atene. E lo ha fatto capire in modo ancora più chiaro anche il governo tedesco, ormai vero e proprio portavoce dei sentimenti più profondi dell’Unione europea.

Per Philipp Roesler, il ministro dell’economia di Berlino, è fondamentale attendere “l’attuazione delle riforme strutturali” perché la Grecia si è sicuramente incamminata “nella giusta direzione ma la meta resta ancora molto lontana”. Quella di Roesler non è stata però l’unica affermazione proveniente oggi dalla Germania. Decisamente più inquietanti sono sembrate le parole del collega Wolfgang Schaeuble, il ministro delle Finanze che, in un’intervista al Welt am Sonntag, ha affermato senza riserve che i programmi di austerity di Atene “non sono ancora abbastanza convincenti visto che molte promesse sono già state infrante”. Una frase estremamente preoccupante che getta una lunga ombra sull’effettiva volontà della Germania di appoggiare il piano di salvataggio ellenico attraverso lo sblocco del finanziamento da 130 (o forse 145) miliardi di euro oggetto di discussione nella prossima riunione dell’Eurogruppo prevista per questo mercoledì.

Inutile dire che le parole di Schaeuble provocano istintivamente un certo fastidio, soprattutto alla luce dei colossali sacrifici che vengono ora imposti alla popolazione greca. Ma va detto, comunque, che allo scetticismo odierno ha contribuito anche il governo di Atene. Ieri, il leader di Nea Demokratia Antonis Samaras se ne era uscito con una dichiarazione quanto meno discutibile. “Vi chiedo di votare in favore del nuovo accordo oggi per avere la possibilità di negoziare e cambiare l’attuale politica che ci è stata imposta”. In pratica, pare di capire, si tratterebbe di concludere l’intesa con la troika e i creditori per evitare la bancarotta e andare successivamente alle elezioni. Una volta eletto premier, come suggeriscono i sondaggi, il leader conservatore punterebbe quindi a rinegoziare il programma stesso di austerity.

Un traguardo comprensibile ma che forse sarebbe stato meglio non esplicitare in modo così evidente di fronte a un’Europa ancora molto scettica. Lo scetticismo non riguarda solo la capacità di Atene di mantenere le promesse fatte ma anche i contenuti stessi del piano. Secondo la Reuters, le misure di austerity votate ieri sarebbero ancora carenti di circa 325 milioni di euro. Il governo ellenico, precisa l’agenzia, non avrebbe ancora chiarito dove intenda effettuare i tagli che mancano all’appello. Un problema che sembrava superato e che invece a quanto pare non sarebbe ancora stato risolto. Il clima, insomma, resta sostanzialmente teso anche a fronte della confusione che sembra regnare in Europa. L’impressione è che il dibattito sull’opportunità stessa del salvataggio sia ancora acceso e che siano in molti, forse, a considerare l’idea di abbandonare definitivamente la Grecia e il suo debito. A proposito di unità di vedute: una settimana fa, il presidente della Commissione europea Barroso aveva ribadito la necessità del salvataggio sostenendo che “i costi di un’uscita dall’euro da parte della Grecia sarebbero comunque superiori a quelli del suo continuo sostegno”. “Si è sempre detto che se si lascia andare una nazione o se le si chiede di andarsene l’intera struttura collassa. Ma questo non è vero” aveva invece dichiarato qualche ora prima il commissario europeo all’Agenda Digitale Neelie Kroes al quotidiano olandese Volkskrant, sostenendo quindi l’esatto contrario.

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