Altro che degenerazione del fenomeno dei neomelodici, altro che semplice, per quanto esecrabile, imbarbarimento della cultura popolare partenopea. Per i magistrati di Napoli il videoclip de ‘O capoclan’ e le sue strofe inneggianti ai boss e ai (dis)valori della camorra sono il passaggio a qualcosa di diverso. La canzone che non è più solo celebrazione, ma diventa strumento di cementificazione del potere camorristico e mezzo di controllo del territorio. Il testo e le immagini che servono a incutere terrore nel circondario e rispetto per un boss ‘vero’, Vincenzo Oliviero, reggente fino al 2007 del clan Birra-Iacomino di Ercolano. Perché nel video c’erano i ‘suoi’ ragazzi, gli stessi che giravano per Ercolano a chiedere il pizzo, e potevi riconoscere i ‘suoi’ luoghi, il garage dell’impresa collusa, la villa dell’amico dei clan. Tra gli attori c’era persino il fratello del boss, e nelle immagini appariva la stessa Citroen C3 utilizzata per i servizi di scorta al ‘papa buono’, il soprannome del ‘capoclan’ a cui si riferisce la canzone di Nello Liberti – nome d’arte, in realtà si chiama Aniello Imperato e ha poco più di 34 anni.

Racconta peraltro un pentito in un verbale del dicembre scorso che ‘il papa buono’ gli disse di avere scritto lui stesso questa canzone. Non potrà confermarlo né smentirlo: Vincenzo Oliviero è stato ucciso cinque anni fa in un agguato, nell’ambito di una faida tra i Birra e gli Ascione che ha insanguinato la cittadina vesuviana, con 59 morti tra il 2000 e il 2009. E per capire a che punto si era arrivati, basta ricordare un episodio del febbraio 2008, quando un killer degli Ascione nel 2008 sparò all’impazzata in pieno centro e in pieno giorno con un AK47 all’interno di un negozio.

E’ tutto scritto in 70 pagine dell’ordinanza a firma del gip Luigi Giordano, nate da un’inchiesta della Dda di Napoli, coordinata dai pm Claudio Siragusa e Pierpaolo Filippelli e condotta dai carabinieri della Compagnia di Torre del Greco. Un’inchiesta culminata nella notifica di 41 provvedimenti di incarcerazione a carico dei vertici dei clan Birra e Ascione, che crea un precedente importante, indagando il cantante neomelodico del videoclip (e con lui un figurante, l’attore che interpreta il boss) per istigazione a delinquere con l’aggravante del favoreggiamento ai clan. La Procura voleva arrestarli, il Gip, pur esprimendo giudizi durissimi sulla canzone (che nell’ordinanza è integralmente riportata e tradotta dal dialetto) ha negato le manette: “E’ solo apologia del gruppo camorristico, assolutamente riprovevole. Ma la canzone e il video non raggiungono il grado sufficiente per ritenere che istighino al compimento dei delitti di natura camorristica”.

Però ci manca davvero poco. Il video, il testo, la sceneggiatura delle immagini allestiscono un B movie di quelli che piacciono a Quentin Tarantino. In cui ascolti strofe come “’O capoclan è un uomo serio, che è cattivo nunn’è ‘o ver’”, non è vero. E pure se lui è così, resta il capo, “sa campare,e noi dobbiamo rispettarlo”. Ad un certo punto ‘o capoclan latitante consegna un «pizzino» a uno dei suoi ‘ragazzi’. C’è scritto il nome “Michele Imperato”. E affianco al nome, una croce: è lui l’infame da eliminare, “‘a cundanna per chi ha sbagliato”. Si vedono pistole, si assiste a un’esecuzione. Il video si conclude con “un saluto a tutti gli ospiti dello stato e di presta libertà”. Gli ospiti dello stato sono i carcerati. La presta libertà, nello slang di camorra, è sinonimo di “rapida liberazione”. Riassunto: i camorristi sono gente coraggiosa e per bene. Che non tradisce. Anzi, guai a chi tradisce. Va ammazzato.

Il video ha spopolato su Youtube e sulle tv locali. Nel 2009 ha conquistato il quarto d’ora di celebrità nazionale quando venne ripreso dai principali tg del gruppo Mediaset. In realtà è una canzone composta e depositata in Siae sin dal 2004. Sono gli anni in cui Vincenzo Oliviero era il proprietario di fatto di Radio Ercolano, “la voce radiofonica del clan”, emittente abusiva utilizzata per comunicare messaggi tra gli affiliati e tra chi era in libertà e chi era in carcere ad ascoltare. Messaggi in codice. Ordini criminali. La radio, prima di essere confiscata dalla magistratura, è servita anche per inculcare agli ascoltatori la ‘cultura camorristica’. E il videoclip di Liberti è uno step successivo dello stesso modus operanti. Come sottolinea il deputato Pd Luisa Bossa, sindaco di Ercolano per dieci anni: “Il controllo del territorio e il consenso sociale si costruiscono anche con gli strumenti della cultura popolare, e la camorra lo sa bene”. Per fortuna il clima sta cambiando. Il procuratore aggiunto Rosario Cantelmo, coordinatore del pool antimafia, in conferenza stampa ha avuto parole elogiative del “fenomeno Ercolano”, dove moltissimi commercianti e imprenditori hanno denunciato i taglieggiatori consentendo alle forze dell’ordine di sgominare i clan: “Ora c’è fiducia nelle istituzioni. È la primavera della legalità”.

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