Il prefetto di Lodi, Pasquale Gioffrè

“Prevenzione e grande attenzione agli appalti nel settore dei rifiuti”. Con queste parole il 10 gennaio scorso Pasquale Gioffrè, classe ’54, calabrese di Seminara, fa il suo esordio sulla poltrona di Prefetto di Lodi. Incarico di prestigio. E ruolo delicato visto che l’area, una delle più ricche della Lombardia, da tempo è nel mirino della criminalità organizzata. Affari mafiosi che cuciono assieme gli interessi di ‘ndrangheta, camorra e cosa nostra.

Insomma, il lavoro non mancherà. E Gioffrè ci mette la faccia: “La sicurezza non è una preoccupazione”. Parole che forse hanno lo scopo di rassicurare, ma in realtà un po’ inquietano. Soprattutto dopo avere spulciato tra le sue esperienze precedenti. Andando a ritroso: ultima tappa Lodi, prima vicario a Bologna e ancora indietro una lunga esperienza a Genova. Ed è proprio all’ombra della Lanterna che Gioffrè macina diversi inciampi. In Liguria ci arriva alla fine del 2006 e saluta nel 2009 con la fama “dell’ex vice prefetto che non vedeva la mafia”.

Tre anni e qualche ombra, dunque. A partire dal pasticciaccio di vico Mele, centro storico della città, ma soprattutto centrale operativa del gelese Rosario Caci, rappresentante del clan Madonia in Riviera. L’uomo di Cosa nostra da anni abita in vico Mele 4/1a. Nel 2005, però, l’appartamento (due camere, cucina e servizi) su ordine della Dia di Caltanissetta viene sequestrato e poi confiscato. Confisca che diventa definitiva nello stesso anno.

Che succede a questo punto? La casa viene assegnata all’Agenzia del Demanio, e passa sotto il controllo della Prefettura, di cui, all’epoca, fa parte lo stesso Gioffrè che ha la delega alla sicurezza e ai beni sequestrati. Per due anni, però, non succede quasi nulla. Sul portone i sigilli ingialliscono. Nel frattempo la moglie di Caci scrive alla presidenza della Repubblica per bloccare la confisca. Atto solo formale che di per sé non ha il potere di frenare l’iter avviato nel 2005. Eppure due anni dopo, l’appartamento è ancora vuoto. E tale resterà fino all’ottobre 2007, quando ci si accorge che la famiglia Caci lo ha rioccupato. La notizia viene pubblicizzata sui quotidiani locali. L’associazione Casa della legalità denuncia tutto. Scoppia lo scandalo. Che si trascina fino al 2008, quando lo stesso Caci lascia la casa per migrare in una camera d’albergo pagata dallo stesso comune. Uno scandalo nello scandalo che all’amministrazione costerà oltre 20mila euro e che finisce nel 2009, anno in cui il referente dei clan tornerà di nuovo in carcere. In tutto questo il ruolo di Pasquale Gioffrè viene messo sotto accusa: “Da oltre cinque anni – scrive in una denuncia l’associazione Casa della legalità – segue per conto della Prefettura la questione di Vico Mele”. Di più: l’esposto rileva come la presenza di Caci nella zona di Vico Mele veniva denunciata dai cittadini alla Prefettura. “Gioffrè – si legge – replicava che non è assolutamente vero”.

La vicenda sembra consumarsi tutta all’insaputa dello stesso Gioffrè. Non solo: il neo-prefetto di Lodi nel gennaio 2007 ricopre anche l’incarico di commissario nel comune di Arenzano sciolto nel novembre 2006. La giunta, infatti, si spacca su una variante del piano regolatore fortemente voluta dal sindaco di centrosinistra Luigi Gambino. La vicenda avrà anche risvolti giudiziari. Nel frattempo Gioffrè si siede sulla poltrona dell’ex primo cittadino. E mentre lui governa, la Guardia di finanza indaga su quel cambiamento di Pgt. E’ in questo momento che nella rete delle intercettazioni finisce la voce di Gambino (non indagato) al telefono con Gino Mamone, imprenditore calabrese in odore di mafia. Nel 2002, infatti, una nota della Dia tratteggia i suoi collegamenti con la ‘ndrangheta e in particolare con la cosca Mammoliti di Oppido Mamertina. Il 30 gennaio 2007 Mamone chiama l’ex sindaco che in quel frangente è un semplice cittadino senza incarichi pubblici.

Nonostante questo, Gambino promette all’imprenditore di intervenire a suo favore su un funzionario comunale per la questione dell’ex area Stoppani alla cui acquisizione è interessata la Eco.Ge srl dello stesso Mamone. “Gambino – dice l’imprenditore – noi abbiamo mandato un fax al commissario di Arenzano (…) per fare già un’infarinatura”. In programma c’è una riunione al comune di Cogoleto. Mamone vorrebbe che partecipasse anche un rappresentante di Arenzano. Gambino ne parla direttamente con “Lazzarini, quello dell’Ambiente” perché, spiega l’ex primo cittadino, “lui (Mamone, ndr) vorrebbe che ci fossi anche tu”. Quindi rassicura l’imprenditore: “Io gli ho detto apertura massima”. Come sempre il tutto avviene all’insaputa del commissario Gioffrè.

Nella primavera 2007 Gambino vince di nuovo le elezioni. Un anno dopo, il 3 giugno 2008, interrogato dall’opposizione, risponde in aula: “La telefonata intercettata riguarda il periodo in cui Gambino non aveva alcuna carica pubblica e con quella chiamata veniva richiesto un suo interessamento come cittadino presso le istituzioni competenti”. Nel frattempo lo stesso Gambino fino al 2010 si tiene in giunta l’assessore Cinzia Damonte che nello stesso anno corre per le regionali tra le file dell’Idv e in parte ottiene (senza finire indagata) il supporto elettorale di Onofrio Garcea, uno dei capi della ‘ndrangheta genovese.

E l’ombra della mafia calabrese emerge anche dall’elenco dei soci dell’associazione Città del sole tra i cui fondatori compare lo stesso Gioffrè. “Ma io vi presi parte – ha detto poco tempo fa lo stesso prefetto – solo per la presentazione di alcuni libri”. Lo statuto, invece, racconta altro. L’associazione viene fondata il 28 ottobre 2005 in vico Salvaghi 36 a Genova. E tra i soci fondatori, oltre a Gioffrè, compare Francescantonio Anastasio, figlio di Pietro morto nel 2010 e il cui nome, pur non indagato, compare nell’indagine Maglio del 2011 per i suoi “rapporti di ‘ndrangheta” con Domenico Gangemi capo della mafia calabrese in Liguria. Non è finita. Sulla poltrona di presidente dell’associazione siede, infatti, Salvatore Cosma, anche lui calabrese, ma da tempo protagonista della scena politica ligure. Personaggio trasversale, negli anni ha cambiato otto volte formazione politica. Il suo nome – pur non iscritto nel registro degli indagati – compare nelle informative della Finanza che indaga sui rapporti tra mafia e politica. Annotano i militari: “Le indagini tecniche hanno consentito di accertare che Salvatore Cosma fosse effettivamente in contatto con esponenti della malavita”. Si fanno i nomi di Gino Mamone e Onofrio Garcea.

L’elenco dell’associazione è lungo. E dalla lista compare addirittura quel Giuseppe Profiti, già condannato in appello per tubativa d’asta, già presidente dell’ospedale Bambin Gesù di Roma e spinto dal Vaticano nel cda dell’ospedale San Raffaele finito in bancarotta dopo la lunga gestione di don Luigi Verzè.

Nella carriera di Gioffrè molto è accaduto a sua insaputa. Nulla di penalmente rilevante. Eppure su questi episodi Giuseppe Lumia, senatore del Pd e membro della commissione parlamentare antimafia, ha annunciato un’interrogazione per valutare il caso.

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