L'imprenditore romano Sergio Scarpellini

Dopo 15 anni, la Camera dei deputatati rescinde il contratto di affitto con Milano 90 srl e lascia Palazzo Marini. Ad oltre un anno dal dossier presentato dalla deputata radicale Rita Bernardini sulla strana storia di amicizia tra la Camera e la società dell’imprenditore romano Sergio Scarpellini, i tre questori (Francesco Colucci e Antonio Mazzocchi del Pdl e Gabriele Albonetti del PD) hanno comunicato la decisone di traslocare dal palazzo tra piazza S. Claudio, via del Tritone e via del Pozzetto. Dal ’97 la Camera dei deputati firma infatti contratti di locazione miliardari (ora milionari), oltreché relativi a vari servizi – commessi ai piani, pulizie, mensa, camerieri di sala, cassieri, barman/banconisti. “Con la rescissione di Palazzo Marini 1 – racconta Sergio Scarpellini – decadranno di conseguenza anche i servizi relativi ed io mi ritroverò costretto a mandare a casa 350 dipendenti”.

Il cosiddetto Marini 1 però è l’unico palazzo preso in affitto da Scarpellini, dal quale la Camera può andar via con un anno di preavviso. I contratti relativi agli altri palazzi, tutti nella zona di piazza S. Silvestro e anche questi con durata 9+9, non prevedono infatti alcuna possibilità di recesso anticipato: l’Aula di Montecitorio cioè, scriveva Bernardini, “è prigioniera dei contratti sottoscritti”. Condizioni vantaggiose per l’imprenditore romano che, per sdebitarsi in qualche modo, offre alla Camera servizi di alta qualità (come gli ottimi piatti serviti nella mensa di “Palazzo San Macuto”) a prezzi sottocosto (poco più di 13 euro per un menù completo che comprende oggi bistecca di chianina, domani scampi appena pescati). Incontriamo Sergio Scarpellini nella sede della Milano 90 srl, “scortato” dal suo legale e dal suo commercialista.

Come nasce questo rapporto con la Camera dei deputati, come siete entrati in contatto?
Abbiamo intrapreso tanti anni fa questa attività: comprare palazzi e poi affittarli, e talvolta anche subaffittarli, garantendo però tutti i servizi. Una cosa convenientissima per la Camera. Partimmo nel ’97, quando stipulammo il primo contratto con l’allora presidente Violante per palazzo Marini. Avevamo però già affittato un palazzo al Senato, all’epoca di Fanfani. Dopodiché, nel ’90, abbiamo comprato l’albergo Marini e abbiamo fatto un’offerta alla Camera, perché si sapeva che aveva bisogno di uffici. Sa, le notizie girano. Era un periodo storico in cui Camera e Senato volevano assicurare un ufficio ai propri parlamentari.

Quindi siete stati voi a farvi avanti, a proporvi?
Si, certo. Abbiamo fatto quest’offerta e abbiamo iniziato a trattare. Chiavi in mano, la Camera pretese che tutti i lavori, la mobilia ecc., fossero a carico nostro. Non ha speso una lira in più. Tutt’ora, quando cambiano i governi, se ad alcuni parlamentari non va bene l’arredo che c’era prima, siamo costretti, da contratto, a cambiarlo. Tutto a carico nostro. Un contratto convenientissimo. Durante i lavori di ristrutturazione poi, la Camera ci inviò una lettera in cui ci chiedeva altri spazi.

La Camera, quindi, è venuta da voi a colpo sicuro: sapeva che avevate altri palazzi disponibili e li ha richiesti. Perché però non è stata fatta una gara? Non c’erano altre società, oltre alla sua, a cui la Camera avrebbe potuto rivolgersi per prendere in affitto alcuni palazzi?
Ma quale gara. Noi facciamo questo lavoro. Sa quelle cose come nascono, no? Visto che avevamo già preso i contatti, la Camera ci chiese se avevamo altri spazi. E questi altri spazi, tutti in quella stessa zona, siamo riusciti a trovarli e a comprarli. Ad oggi, sono circa 45 000 metri quadrati gli immobili affittati alla Camera. Una serie di Palazzi che abbiamo comprato esclusivamente per loro. Ci siamo indebitati per loro.

Dunque, voi avete comprato questi palazzi per poi darli in affitto alla Camera. Ma perché, secondo lei, la Camera non li ha acquistati direttamente, magari accendendo un mutuo?

Quella è una loro scelta. Poi secondo me, alla Camera conviene stare in affitto. A noi invece converrebbe vendere. Quindi la campagna che ha fatto la Bernardini è soltanto una gran casino: non c’è niente di esatto. Non ci crederà, ma rispetto ai prezzi di mercato attuali, quelli che facciamo alla Camera sono bassissimi. I contratti del ’97 sono gli stessi che ancora reggono, senza alcun aumento. I palazzi sono sottostimati. Quello attuale dunque è un prezzo di favore.

Adesso invece che succede?
La Camera l’anno scorso ci ha inviato una lettera in cui diceva che avrebbe rescisso il contratto di Palazzo Marini 1 entro quest’anno. Anche se noi riteniamo che non lo possa fare. Mi trovo costretto così a licenziare 350 persone (ndr. per i quali è stata aperta la procedura di mobilità) che svolgono vari servizi, che diamo alla Camera. Perché io con i servizi aggiuntivi non guadagno, sono andato avanti fino ad ora con gli immobili affittati: pagavamo il personale con parte degli introiti provenienti dai contratti di affitto.

E’ abbastanza illogico però prendere tutto quel personale se non riuscite a pagarlo con le entrate che provengono dalla stessa fornitura del servizio (attorno ai 2, 7 milioni di euro all’anno)…
Nel tentativo di fornire un servizio ottimale abbiamo adottato una logica assuntiva in esubero. Attualmente potremmo fornire gli stessi servizi solo con 195 dipendenti, rispetto agli attuali 500 e rotti. Abbiamo assunto tutta questa gente anche perché abbiamo una alta percentuale di assenteismo attorno al 40%. Proprio per questo, anche se la Camera tornasse sui suoi passi, almeno 200 persone le dovrei mandar via comunque. Certo, poi c’è anche la previsione di riforme costituzionali che confermano il dimezzamento della struttura rappresentativa della Camera dei deputati, ma le cause primarie, per cui siamo costretti a licenziarli, sono i recessi e le revoche dagli appalti.

di Gabriele Paglino

Tratto da Agti


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