Un giorno ci renderemo conto di quanto sia stata importante la pagina scritta dalla prima puntata di Servizio Pubblico. All’improvviso il duopolio-monopolio che ha ingessato, impoverito e censurato la televisione in Italia è apparso per quel che è: vecchio e privo di senso.

La trasmissione di Michele Santoro, alla quale il Fatto Quotidiano e questo sito sono orgogliosi di aver dato il loro contributo, dimostra come anche in Italia ci siano spazi (enormi) di libertà che possono essere conquistati. Che il diritto-dovere d’informare (e criticare) può, nonostante tutto, essere ancora praticato da chi ne abbia la voglia e, lasciatecelo dire, il coraggio.

Grazie al sostegno di 100.000 cittadini, all’impegno di un gruppo d’imprenditori un po’ folli e un po’ visionari, alla professionalità di un pugno di cronisti di razza, al talento di Marco Travaglio e di Vauro, grazie alla rete delle tv private e al web, Servizio Pubblico ha rotto lo status quo. Ha spezzato il conformismo di chi sosteneva che contrastare Rai e Mediaset (le tv del presidente del Consiglio e del sistema dei partiti) era impossibile.

Anche per questo ora, pochi minuti dopo la conclusione della puntata, ci piace pensare che la breccia aperta da Servizio Pubblico sia destinata presto ad allargarsi per far passare nuove idee, nuove trasmissioni e, sopratutto, nuove storie e notizie.

Perché esiste un Paese diverso che vuole  (e che merita) di essere raccontato. E chi rinuncia a farlo, avendo da adesso la dimostrazione che quella possibilità c’è, commette un delitto. Dal quale non potrà mai essere assolto.

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