Potrebbe definirsi una sentenza moderna e moralizzatrice contro l’avidità, l’ingordigia e certe pessime abitudini dei padroni del calcio e delle TV quella con la quale, lo scorso 4 ottobre, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha definitivamente chiarito che i Signori del calcio e le emittenti televisive che con essi fanno, ogni anno ed in tutta europa, affari colossali non hanno diritto a frazionare artificiosamente il mercato unico europeo nel tentativo di massimizzare i propri profitti, vendendo ad ogni emittente un’esclusiva territoriale valida per un solo Paese e vietandole di far arrivare segnali e contenuti oltre confine.

Il mercato dei diritti sulle partite di calcio, nell’era di Internet e della TV satellitare, è europeo e, dunque, è incompatibile con il diritto dell’Unione ogni tentativo di trasformarlo in una somma di mercati nazionali contingentati e non comunicanti.

Nel corso del giudizio dinanzi alla Corte, originato da una vicenda relativa alla distribuzione in Inghilterra di decoder e smartcard di un’emittente greca attraverso i quali il pubblico inglese poteva seguire le partite di calcio della Premier Legue a condizioni assai più vantaggiose rispetto a quelle praticate dall’emittente televisiva inglese, la Lega Calcio di sua Maestà, prontamente supportata dal governo inglese nonché da quelli francese e italiano – in questi contesti non manchiamo mai! – avevano provato a difendere l’attuale assetto di mercato rilevando che le restrizioni territoriali “risulterebbero necessarie per garantire la tutela di un’adeguata remunerazione dei titolari medesimi, ove tale remunerazione presuppone che questi ultimi dispongano del diritto di rivendicarla per l’utilizzazione delle loro opere o di altri oggetti protetti in ogni singolo Stato membro e di concedere al riguardo un’esclusività territoriale”.

Difficile resistere alla tentazione di chiedersi quale sarebbe, secondo i Signori del calcio “l’adeguata remunerazione” alla quale ambiscono.

I giudici della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, tuttavia hanno ritenuto che, l’aspirazione dei titolari dei diritti a guadagnare di più non giustificherebbe il frazionamento del mercato europeo in un insieme di sottomercati nazionali.

Priva di ogni fondamento anche un’altra delle giustificazioni addotte dai Signori del pallone per difendere l’attuale assetto di mercato: il divieto alle emittenti operanti in Paesi diversi da quello nel quale si disputa il match di trasmettere in tale Paese, risponderebbe all’esigenza di garantire maggiore affluenza negli stadi.

La Corte di Giustizia ha restituito al mittente anche tale eccezione ricordando ai titolari dei diritti che non si può pretendere di avere la botte piena e la moglie ubriaca o meglio gli stadi piedi ed il portafoglio stracolmo di denaro incassato a fronte della cessione alle emittenti operanti in Paesi diversi rispetto a quello di svolgimento del match, dei diritti relativi alla trasmissione della partita stessa.

Un’autentica goleada quella subita dai Signori del pallone.

Dalla prossima stagione, infatti, i consumatori potranno scegliere di seguirsi le partite di calcio attraverso i servizi dell’emittente televisiva che le trasmetterà, in tutta europa, a condizioni più vantaggiose o, magari, online attraverso un’unica grande piattaforma, accessibile dall’intera europa e finanziata esclusivamente dalla pubblicità.

Forse nelle casse delle società calcistiche arriverà davvero meno denaro ma l’unica possibile conseguenza di ciò è che, finalmente, gli incassi multimilionari delle stelle del pallone verranno ridimensionati.

Nella società dell’informazione e nell’era della comunicazione globale, l’avidità e l’ingordigia di chi rifiuta l’idea di un mercato europeo e della conseguente esigenza di accettare le regole della concorrenza, può costare davvero cara.

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