La precarietà è sempre un ottimo argomento per la Tv, che ci tratta sempre immancabilmente allo stesso modo: poveri sfigati che con tre lauree e due master raccontano le loro incredibili storie. Scoop: i precari hanno contratti al limite della fantascienza, non possono comprare casa e a volte vanno persino a lavorare all’estero per la disperazione. Sai che notizia. Non ha mancato di seguire questo stile Iacona, con la puntata di domenica scorsa di “Presa diretta”, dall’eloquente titolo “Generazione sfruttata”.

L’intera trasmissione ripeteva il cliché del “racconto della sfiga”: una carrellata di “giovani” (ormai almeno trentenni) precari che raccontano le loro difficoltà a sbarcare il lunario, la sequenza di lavori malpagati a cui sono costretti o il tunnel di stage da cui non riescono a uscire. Storie che conosciamo tutti, e che – viste da questa prospettiva, di sfiga e solitudine – appaiono senza soluzione. O così o così; tutt’al più ci si può piangere addosso. Il conduttore riservava alla parte finale del programma una ventata di ottimismo: un giretto a Barcellona a trovare alcuni italiani emigrati nella città catalana, dove – dopo aver trovato un lavoro finalmente stabile e soddisfacente – hanno potuto finalmente dar vita al sogno italiano: metter su famiglia. Che bel quadretto! Peccato che, proprio dalla Spagna, la scorsa primavera, sia partito il movimento degli indignados in risposta alle politiche di austerità del governo Zapatero e della crescente disoccupazione (che ha toccato il 20%). Il movimento si sta rapidamente diffondendo in Europa e in questi giorni è sbarcato anche a Wall Street. Possibile che Iacona non ne sapesse nulla? Eppure a Barcellona evidentemente non sono tutti felici e contenti.

Sulla mia pagina Facebook in queste ore un sacco di precari che vivono all’estero un po’ incazzati per il programma di Iacona stanno raccontando storie di precarietà all’estero. Perché anche se è vero che in molti settori le cose vanno un po’ meglio, spesso chi se ne va si trova in situazioni magari un po’ migliori, ma non certo idilliache, oltre a dover lasciare i propri affetti e la propria terra per emigrare. Richard mi scrive che “a Barcellona si fa la fame e si salta di precariato in precariato come in Italia, partite iva ecc ecc, giusto si pagano meno tasse e la vita costa meno…”. Giorgia rincara la dose: “Da italiana all’estero posso dire che lo stereotipo dell’italiano all’estero ‘felice e contento’ non corrisponde affatto al reale scoramento di moltissimi di noi… all’idea di non poter mai più tornare e nel vedere l’affanno dei propri amici e famigliari in Italia. E, come i precari in Italia, spesso vorremmo poter provare a rientrare e a lottare in Italia per migliorare le nostre vite e le sorti del paese”.

Forse le cose vanno meglio in altri paesi? Be’ mica per forza: Paolo ci dice che “anche in Gran Bretagna le cose sono uguali: precariato galore (internship e volunteering) o contratti a breve termine (se non quando a settimana) sono la norma; in accademia baroni e portaborse non sono mai mancati e sarà sempre peggio. Molti di noi (emigrati) sono rimasti subalterni e precari, con l’aggravante di aver lasciato tutto e dover ricominciare sempre tutto daccapo”.

Torniamo in Italia. Maggio 2011: una troupe di Presa Diretta segue per due giorni San Precario all’interno del Salone del Libro di Torino. In quell’occasione i lavoratori e le lavoratrici dell’editoria protestavano per le loro condizioni di lavoro e per l’uso indiscriminato di contratti atipici e finte Partite Iva. L’azione ha avuto molto successo, ricevendo la solidarietà delle decine di precari che mandavano avanti la fiera.

Durante quelle giornate la troupe ha filmato tutto e registrato varie interviste, ma di tutto il materiale è andata in onda solo una minima parte: qualche inquadratura fuori contesto e le parti di interviste più lacrimose. Non vogliamo qui entrare nel merito delle scelte televisive e del lavoro dei giornalisti di Presa Diretta (molti di loro precarissimi, come sottolineato e testimoniato in prima persona dai giornalisti stessi durante la trasmissione). Ma in quei giorni a Torino, così come in tante altre occasioni, da parte dei precari c’è stato molto altro: il bisogno di scrollarsi di dosso l’immagine avvilente che danno i media della precarietà, la voglia di fare rete e di reagire, di farsi sentire, di contestare le aziende precarizzatrici.

Già perché nelle interviste in Tv raramente si chiede al precario o alla precaria per chi lavori, chi ti sfrutta così, cosa vorresti fare per migliorare la tua situazione? Mai che intervistino qualcuno che ha fatto causa all’azienda (spessissimo i contratti precari sono illegali) e ha vinto soldi e stabilizzazione. Mi chiedo se i nostri media riusciranno mai a proporre un’idea diversa della precarietà, dimostrando come ci si possa autorganizzare e, in molti casi, far valere i propri diritti. Peccato che tutto questo ieri sera non sia andato in onda; avrebbe portato un messaggio di speranza, e non di sconfitta. E non avrebbe alimentato la falsa illusione che all’estero tutto sia rose e fiori. Ma tu vivi all’estero e vuoi raccontare la tua storia? Scrivimi!

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