Il boss Rocco Pesce detto 'il pirata'

C’era una volta il pizzino. Poco comprensibile per gli estranei e soprattutto anonimo. Ora invece, anche le minacce della criminalità organizzata viaggiano via raccomandata con tanto di timbro, intestazione e firma. Accade a Rosarno, Comune del reggino dove il sindaco Elisabetta Tripodi ha denunciato ai Carabinieri di aver ricevuto una lettera manoscritta inviatale dal boss dell’ndrangheta Rocco Pesce detenuto dal 1981 nel carcere di Opera, in provincia di Milano, con le accuse di associazione a delinquere, detenzione illegale di materiale esplosivo e munizioni, omicidio, tentato omicidio, violazione delle leggi sulle armi, violazione delle leggi sulle sostanze stupefacenti, associazione di tipo mafioso, furto aggravato “e altro”, come scrive il gip Domenico Santoro nell’ordinanza di custodia cautelare emessa su richiesta dei pm della Direzione distrettuale antimafia (Dda) di Reggio Calabria Michele Prestipino e Rosario Ferracane.

Il 54enne capo cosca chiamato ‘il pirata’ per la caratteristica benda che porta sull’occhio destro, ma “anche per la sua spigliatezza e sbrigatività nel portare a termine le più complicate e spericolate operazioni delittuose”, già condannato all’ergastolo dal 1984 e destinatario di provvedimento cautelare nell’operazione “All inside” dell’aprile 2010, è stato raggiunto questa mattina in carcere dall’ordinanza eseguita dai carabinieri del capoluogo reggino “per aver usato minaccia nei confronti di un Corpo politico e amministrativo per impedirne – in tutto o in parte anche temporaneamente – o per turbarne comunque l’attività”.

Ma perché Pesce scrive al sindaco Tripodi? I motivi che angustiano ‘il pirata’ 54enne sono di fatto tre. Innanzitutto l’uomo esprime “rammarico e disappunto in relazione al fatto che il Comune di Rosarno si sia costituito parte civile nel procedimento a carico mio e della mia famiglia, dato che da parte nostra non vi è stata alcuna azione penalizzante a danno delle Istituzioni, dei commercianti o degli abitanti nel Comune di Rosarno da lei rappresentato”. Poi, scrive ancora Pesce, “la sua (del sindaco, ndr) esternazione, poi pubblicata sul giornale Calabria Ora, manifestante giudizi affrettati sicuramente influenzati da pregiudizi mediatici…”, cosa che, dice il boss “mi ha sconcertato, dato la stima che io e la mia famiglia abbiamo sempre manifestato nei suoi confronti, soprattutto il giorno delle elezioni amministrative dove lei è stata eletta per la sua serietà e personalità che gode di ottima etica professionale”. Infine il sequestro e lo sgombero dell’immobile a tre piani, in via Fogazzaro, del valore di 330 mila euro, in parte abitato dai familiari di Pesce (la madre e il fratello, ndr), già oggetto di confisca, che verrà assegnato a uso della collettività rosarnese. In riferimento a quest’ultimo fatto, Pesce è irritato perché secondo lui il sequestro non sarebbe dovuto alla “dubbia provenienza” dell’immobile, ma perché “considerato fabbricato non conforme alle normative urbanistiche o per mancanza di concessioni edilizie”, quando lei (sempre il sindaco, ndr) sa benissimo sulla base delle informazioni tecniche in materia di urbanistica che, statistiche alla mano, almeno il 50% dei fabbricati attualmente esistenti post ’67 nel Comune di Rosarno sono abusivi e a me non sembra che siano stati presi gli stessi provvedimenti nei loro confronti, non perché io lo desideri ma solamente per sottolineare la persecuzione a noi riservata”.

Insomma, il boss si dipinge come un perseguitato dalla giustizia e, a una prima lettura, sembra chiedere aiuto al sindaco Tripodi perché ristabilisca la verità. In realtà, come scrive il gip nell’ordinanza, “non tragga in inganno il contenuto a volte quasi ossequioso di alcuni passi della missiva, in cui sono, per contro, presenti frasi minatorie, talora caratterizzate dalla forma implicita delle allusioni, degli avvertimenti e dei richiami indirizzati al Sindaco quale rappresentante della Giunta chiamata ad imprimere un rinnovato indirizzo politico – amministrativo alla città, talaltra, invece, immediatanente percepibili”. Un esempio. In un passo della lettera Pesce scrive: “Lei stessa a maggior ragione data la sua carica amministrativa nel Comune, sa benissimo che la nostra famiglia è vittima di persecuzioni mediatiche per reati presunti e giudizi espletati sulla base del libero convincimento”, una frase che sembra non contenere esplicite minacce o allusioni. Ma subito dopo, il boss usa termini ben diversi: “Questo che le scrivo in modi ed enfasi del tutto confidenziale nascono per motivi che forse lei non sa in quanto molto giovane, non tanto nel merito, ma nella mia franchezza nell’esporre in modo pratico, dato che io e la mia famiglia eravamo soliti godere della reciproca compagnia con i suoi più stretti famigliari, in occasione dei consueti aperitivi in Corso Garibaldi, dove a memoria ricordo piacevoli e cordiali scambi costruttivi di opinioni, dove si argomentava questioni interessanti della nostra città… mi viene in mente un detto senza alcuna allusione, che ogni persona ha i propri scheletri nell’armadio, e converrà con me che l’estremo perbenismo è solo ipocrisia, e sono sicuro che lei è una persona molto intelligente per poter cadere in simili bassezze”.

Le premesse della missiva, del resto, sono degne della conclusione dove Pesce si lascia andare anche a una considerazione dal sapore razzista: “Vorrei che sappia che sono in galera da più di vent’anni innocentemente, ma il problema non è solo questo, nel mio stato detentivo la cosa che più mi disturba e mi fa soffrire è di quello che vengo informato, e nello specifico l’amministrazione comunale ha tra le sue priorità il benessere dei extracomunitari clandestini, anziché i problemi dei miei familiari già sofferenti e comunque dei veri cittadini di Rosarno… forse consentendomi la provocazione perché non godono di sovvenzioni della Comunità Europea a differenza dei clandestini?”. Una provocazione che non solo il sindaco Elisabetta Tripodi respinge al mittente, ma che prontamente denuncia andando ad aumentare il già corposo faldone giudiziario a carico del ‘pirata’.

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