Il governo israeliano ha annunciato una nuova protesta formale al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite dopo gli scontri di ieri al confine con la Siria, sulle alture del Golan occupate dal 1967. I soldati israeliani schierati nella zona di confine di fronte alla città di Quneitra hanno aperto il fuoco contro centinaia di persone, profughi palestinesi e cittadini siriani, che hanno cercato di attraversare gli sbarramenti di filo spinato per entrare nel Golan occupato. L’ultimo bilancio fornito dall’emittente panaraba Al Jazeera parla di almeno 23 morti e 325 feriti. Tra le vittime, secondo l’agenzia di stampa ufficiale siriana SANA, ci sono anche una donna e un ragazzo di 12 anni. Le manifestazioni erano per commemorare la Naksa, la pesantissima sconfitta subita dagli eserciti arabi nella guerra dei Sei giorni, nel 1967.

La protesta che il governo israeliano ha annunciato accusa le autorità di Damasco di “manipolare i suoi cittadini per causare violenti incidenti al confine”, come ha riferito alla stampa israeliana il portavoce del ministro degli esteri Ygal Palmor. L’esercito israeliano, in un comunicato, ha detto di non poter confermare il numero delle vittime perché “erano oltre il confine siriano”, ma che i soldati hanno sparato “con grande precisione” mirando a ferire e non a uccidere. Il canale israeliano Channel10 ha spiegato che una parte dei morti è stata causata dall’esplosione di alcune mine antipersona, detonate quando dai manifestanti sono state lanciate delle bottiglie molotov.

Di nuovo, come durante le proteste per l’anniversario della Nakba palestinese, poche settimane fa, l’esercito israeliano ha accusato il regime del presidente siriano Bashar Assad di cercare di distogliere l’attenzione nazionale e internazionale dalla repressione in corso contro le manifestazioni di protesta che continuano ormai da mesi.

L’accusa non sembra del tutto infondata, visto che secondo Al Jazeera, negli ultimi due giorni almeno 38 persone sono state uccise dalle forze di sicurezza e dall’esercito siriano nella cittadina di Jisr al Shoughur, dove da sabato è in corso una dura operazione contro i manifestanti. Secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani, che ha sede a Londra, tra le vittime ci sono anche sei poliziotti, ma non è chiaro se siano stati uccisi dai manifestanti o se invece abbiano preso le difese degli insorti e siano stati uccisi dall’esercito intervenuto in forze.

Un’altra lettura dei fatti, però, è possibile. Ovvero che l’esercito siriano, impegnato nella repressione, non sia più del tutto in grado di controllare la situazione ai confini e di tenere a freno i gruppi palestinesi che stanno aumentando la pressione su Israele. Questa lettura si basa sulla considerazione “storica”che il regime di Damasco, anche nei momenti di alta tensione con Israele, ha sempre evitato di arrivare a scontri sanguinosi che potessero innescare un’escalation potenzialmente letale. Le manifestazioni ai confini, dunque, sarebbero un segnale dello stato di decomposizione del regime. Si può anche pensare, però – ed è un’interpretazione che circola anche sulla stampa israeliana – che Assad stia cercando di dimostrare quale potrebbe essere il prezzo, in termini di caos politico nel cuore del Medio Oriente, di una sua eventuale (probabile anche se non imminente) caduta.

Quale che sia la lettura più autentica, comunque, l’ennesimo scontro cruento cade in un momento molto delicato, per Israele e per i palestinesi. A settembre, l’Assemblea Generale dell’Onu discuterà la richiesta di ammissione e riconoscimento che l’Autorità Nazionale Palestinese si prepara a presentare, probabilmente entro metà luglio, al Consiglio di Sicurezza. La Casa Bianca spinge per una ripresa dei negoziati diretti tra governo israeliano e Anp e a fine giugno, stando alle informazioni attuali, è prevista la partenza della seconda Freedom Flotilla, diretta a Gaza con un carico di aiuti umanitari. Sarà, anzi è già, una nuova grana diplomatica per il governo di Benyamin Netanyahu, che rischia l’isolamento internazionale, anche se qualcosa dietro le quinte si muove (la Turchia, per esempio, sta mollando Assad e cercando di ritagliarsi un ruolo nel nuovo ciclo di possibili negoziati tra Israele e Anp).

I venti e più morti di Quneitra rischiano peraltro di sommarsi alla prima difficile situazione politica per il nuovo sindaco di Milano Giuliano Pisapia. Il neosindaco, infatti, ha ereditato dall’amministrazione Moratti l’appuntamento “Israele che non ti aspetti”, che si aprirà il 13 giugno e per una settimana porterà a Milano una vetrina dell’innovazione tecnica e della tecnologia israeliana, oltre a iniziative culturali, concerti e incontri. Per quanto possa essere un’occasione utile per conoscere la vitalità della società israeliana, la fiera, è soprattutto un evento di “marketing” organizzato direttamente dal governo israeliano, con la collaborazione degli enti locali lombardi. Per questo e per la prevista visita di Netanyahu a Milano, Unexpected Israel sta catalizzando l’attenzione delle reti e organizzazioni sociali italiane impegnate contro l’occupazione israeliana dei territori palestinesi.

Domani, martedì 7, da mezzogiorno, è previsto un presidio-conferenza stampa davanti la sede del governo regionale, mentre sabato 11, dalle 15, in piazza Duomo ci saranno performance e iniziative di protesta per denunciare le violazioni dei diritti umani subite dai palestinesi, in particolare da quelli che vivono nella Striscia di Gaza. Il calendario delle iniziative di protesta arriva fino a una manifestazione nazionale, prevista per sabato 18 giugno, dalle ore 15 (si parte da Largo Cairoli).

Le organizzazioni italiane e internazionali impegnate nella contestazione di questa fiera, inoltre, hanno scritto una lettera aperta a Giuliano Pisapia e hanno chiesto un incontro al primo cittadino milanese affinché “si faccia capire alle autorità di quel Paese che nessuna celebrazione è possibile a Milano, ed in Italia, se non dopo cessata ogni oppressione e riconosciuti, di diritto e nella vita quotidiana, i diritti del Popolo Palestinese, la sua cultura, la sua umanità”.

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