di Guido Mula*

La legge Gelmini (legge 240/2010), entrata in vigore sabato 29, mostra subito di essere costruita per conservare il potere dei “baroni”: basta guardare come i rettori stanno gestendo la questione delle commissioni che si devono occupare delle modifiche statutarie imposte dalla legge appena approvata. Un esempio è quello del rettore di Padova, cui si rivolgono oltre 400 persone per chiedere democrazia e condivisione nelle scelte, ma anche altrove non si scherza. C’è chi inorridisce all’idea di ricercatori nelle commissioni, c’è chi li considera privi di esperienza, chi ritiene che solo ai professori ordinari spetti tale ambito compito.

E’ chiaro che la legge 240/10, così come è stata imposta d’autorità, nello stesso modo è stata preparata, con gli ope legis nascosti (art. 2, comma 9) scritti per i rettori in carica che adesso non vedono l’ora di approfittarne. La democrazia e la compartecipazione alle scelte non fanno parte del modo di pensare del ministro e della maggior parte dei rettori in carica che ora, rinvigoriti dall’approvazione di una legge che piace quasi solo a loro negli atenei nei quali sono stati eletti, ora vogliono il potere di decidere sulla sorte degli altri, in piena indipendenza. La maggior parte dei rettori è infatti ad un’età (molto) vicina alla pensione, ma si arrogano il diritto di escludere dalla discussione coloro sui quali gli effetti della legge e della revisione degli statuti ricadranno: i ricercatori, i professori associati, il personale non docente, i precari. I rettori sono talmente abituati a gestire il potere in maniera autonoma che oggi sono colti di sorpresa dal fatto che qualcuno contesti loro questa autonomia, e se per caso si avvicinano alle posizioni di chi in questi mesi ha mantenuto viva la voce dell’università lo fanno quasi sempre perché costretti dagli eventi e dalla pressione esercitata su di loro da ricercatori, professori, personale non docente, precari e studenti.

Ministro Gelmini, in questi giorni lei passa il tempo a fare dichiarazioni a sostegno del presidente del Consiglio, ma non spende una parola per invitare i rettori e gli organi di governo attuali delle università a garantire nelle commissioni un’adeguata presenza delle voci di coloro che dovranno vivere ancora a lungo nelle università. Il suo silenzio mostra una volta di più quanto per lei le università siano solo i rettori, dimenticando che ci sono tutti gli altri, ignorando completamente le voci di proposta e dissenso, scaricando le critiche con vuoti slogan senza mai entrare nel merito o accettare un confronto vero.

On. Gelmini, guardi intorno a sé, guardi le persone delle quali si è presa la responsabilità accettando l’incarico di ministro dell’Università e della ricerca. I ricercatori, i professori associati, i precari e gli studenti sono coloro che staranno nelle università ben dopo i rettori attuali, ben dopo i professori ordinari attuali. La nostra voce è quella del futuro, siamo già maggioranza nelle università, abbiamo appena aumentato di quasi il 15% degli aventi diritto la percentuale di votanti tra i ricercatori nelle recentissime elezioni del Consiglio universitario nazionale. Ci ascolti e venga a discutere e a confrontarsi con noi, c’è ancora molta strada da fare prima che la legge che porta il suo nome possa diventare operativa e c’è ancora spazio per correggere, almeno in parte, il tiro.

*Rete29Aprile

Articolo Precedente

Scienziati e tennisti

next
Articolo Successivo

Scuola, il giudice dà ragione al precario
e trasforma in posto fisso un impiego annuale

next