Ilfattoquotidiano.it in pochi mesi ha raccolto attorno alla sua pagina su Facebook una comunità di quasi 180 mila persone che, attraverso il popolare social network si informano, condividono idee ed opinioni commentano la realtà che ci circonda, ciascuno secondo le proprie inclinazioni, esperienze, posizioni politiche e visioni del mondo. Esercitare la propria libertà di parola gratuitamente è stato, sin qui, probabilmente, uno dei sogni proibiti di molti di noi. Quella de Il Fatto Quotidiano non è, d’altro canto, un’esperienza unica nel suo genere: ormai da tempo, milioni di cittadini italiani condividono obiettivi, campagne e battaglie anche di natura politica a mezzo Facebook. Il gigante del social network è, quindi, inequivocabilmente, ormai divenuto uno spazio politico nell’accezione più ampia del termine, un media per informare, informarsi e far politica. Non si tratta di una deriva o del risultato di un utilizzo improprio da parte degli utenti di una piattaforma nata come parco dei divertimenti ma, al contrario,di una delle forme di utilizzo presentate e proposte proprio dai gestori della piattaforma.

Sorprende e preoccupa, quindi, scoprire che Facebook ha iniziato ad esercitare sulle pagine degli utenti un’attività di censura che sembra non rispondere a nessuna regola scritta ed è attuata con una discrezionalità assoluta non ancorata ad alcun limite o parametro. “La tua pubblicazione è stata bloccata a causa di una violazione delle Condizioni d’uso delle pagine”. E’ questo il lapidario annuncio con il quale mi è stato comunicato ed è stato comunicato agli altri amministratori della pagina “Libertà è partecipazione” – una pagina da quasi 90 mila iscritti creata per dire di no al Ddl intercettazioni – che avevo perso la cittadinanza almeno in quell’angolo della piazza, che non potevo più parlare, che dovevo tacere e rinunciare ad una campagna – credo non conti se giusta o sbagliata, condivisibile o non condivisibile – che avevo scelto di combattere per esprimere una parte importante della mia personalità e per dar corpo ad un frammento della mia identità di uomo e di cittadino.

La stessa cosa, nelle stesse ore, è accaduta ad Arianna Ciccone, amministratrice ed animatrice della pagina “Ridateci la democrazia” (oltre 200 mila iscritti) e del movimento “la valigia blu” che, negli ultimi mesi, ha lanciato e gestito decine di campagne – anche in questo caso non credo conti se giuste o sbagliate – per la libertà di informazione. Anche lei – e chissà quanti altri – privati dei loro diritti di cittadinanza nella comunità virtuale. Anche a Lei, il passaporto è stato ritirato, come avviene nei regimi dittatoriali senza una riga di spiegazione, senza un perché ma, soprattutto, senza un processo, un contraddittorio, un giudizio, fosse anche emesso da un giudice di parte.

A scorrere i laconici ed ermetici 1816 caratteri, spazi inclusi, attraverso i quali si snodano i 10 punti delle condizioni generali di utilizzo delle pagine di Facebook è pressoché impossibile comprendere in cosa si sia peccato, come si siano violate le regole imposte dal padrone di casa, perché si sia risultati maleducati, offensivi e, quindi, sgraditi. Ho già provato a riassumere i termini della questione e le perplessità che la condotta tenuta dal monarca bianco-blu solleva in questa vicenda e nelle molte altre che, immagino, si consumino nel silenzio della Rete, solleva.

Libertà è partecipazione, Ridateci la democrazia e chissà quante altre analoghe pagine di esercizio della libertà di informazione e di democrazia elettronica, “silenziate” senza neppure una mail di contestazione, un avviso, un contraddittorio.

Era già accaduto, tra i tanti, a Vittorio Zambardino, Giornalista e blogger di La Repubblica al quale, egualmente senza spiegazione, era, addirittura, stato cancellato l’account. Una denuncia al Garante per la privacy e qualche post, in quell’occasione, erano valsi a convincere gli uomini di Zuckenberg ad offrire al giornalista una seconda vita facendo resuscitare il suo account. Ed ora? Chi ha chiesto di mettere a tacere gli amministratori di queste pagine e perché?

Certo, Facebook, nelle condizioni di uso delle pagine si riserva il diritto di selezionare con discrezionalità assoluta quale contenuti pubblicare e quali no e, quindi, da un punto di vista strettamente contrattuale, nei rapporti tra utenti e gestori della piattaforma, nulla può essere rimproverato al gigante del social network. Ma una società democratica che, ormai, utilizza Facebook e decine di altri analoghi servizi e spazi virtuali può davvero accontentarsi di questa risposta? Può limitarsi a scuotere le spalle e dire che Zuckenberg è a casa sua e noi siamo solo suoi ospiti e che, pertanto, il ragazzino della Silicon Valley può metterci a tacere senza doverci delle spiegazioni tanto più che ciascuno di noi è libero di lasciare la piazza virtuale in ogni momento?

Francamente credo di no. Facebook – e naturalmente non solo Facebook – è ormai divenuto un fenomeno sociale con pochi precedenti nella storia moderna della Rete e che ha un impatto straordinariamente importante sull’esistenza quotidiana di milioni di italiani, sull’accesso all’informazione e sulla partecipazione di ciascuno di noi alla vita democratica del Paese. Forse i Signori nel Palazzo, dopo aver tentato, con ogni mezzo di mettere a tacere la Rete e minacciato Facebook & c. di confino, potrebbero, pensare, di ordinare a chiunque voglia fare legittimamente business nel nostro Paese offrendo ai cittadini la possibilità di comunicare, informare ed informarsi, di astenersi dal limitare, in qualsivoglia modo o maniera, la libertà degli utenti di manifestare il proprio pensiero in assenza di un provvedimento dell’Autorità o, almeno, di un procedimento in contraddittorio tra chi “chiede la testa” di un contenuto e chi quel contenuto ha pubblicato. Sarebbe, finalmente, una legge moderna nell’interesse del Paese e del cittadini piuttosto che dei soliti noti.

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