Questo è il mio primo blog. Non ne ho mai avuto uno, ma accetto volentieri l’offerta de Il Fatto, di aprirlo per la sua nuova pagina web. La prendo come una possibilità di poter commentare gli eventi quotidiani, in maniera più estemporanea e immediata di quanto non si faccia in articoli più formali.
 
Ma, soprattutto, la prendo come una possibilità di poter parlare di argomenti che esulano da quelli scientifici strettamente di mia competenza. Anche gli scienziati e i matematici infatti vogliono, e debbono, manifestare il loro impegno civile. Ma in genere i media istituzionali non permettono loro di farlo: sembra che coloro che sanno qualcosa di preciso, di quello debbano limitarsi a parlare. A loro, il dovere dei fatti. Il diritto di opinione a tutti gli altri  (giornalisti, letterati, filosofi, teologi, cantanti, registi, attori, e compagnia bella), ma solo a loro.
 
Per combinazione, ammesso che esistano le combinazioni, l’avviso di mandare la prima pagina mi è arrivato il 18 giugno, poco dopo che avevo appreso della morte di Josè Saramago. Un grande maestro, che avevo avuto l’onore di incontrare più volte, l’ultima delle quali pochi mesi fa, a Torino, il 9 ottobre 2009.
 
Quella sera la sua figura era ormai ridotta a una linea, senza più spessore fisico. Si capiva, dal suo viso ormai scheletrico, dalla lentezza dei suoi movimenti, dalla voce ridotta a un soffio, che non aveva più molto da vivere. E lo capiva anche lui, che non aveva però perso lo spessore intellettuale, e parlò serenamente dell’epitaffio che avrebbe voluto avere quando il momento fosse venuto: “Qui giace Josè Saramago, indignato”.
 
In suo onore ho deciso di usare come titolo “post indignato”. E di impegnarmi a proseguire, più indegnamente, meno inefficacemente, ma comunque al meglio delle mie capacità, la sua azione di critica dei miti del nostro tempo e della nostra società: la religione, il capitalismo, la democrazia elettiva, la lotta al terrorismo, il sionismo…
 
In un incontro precedente, sempre a Torino, la sera del 19 settembre 2006, a cena Saramago mi aveva detto: “il mondo sarebbe molto migliore se fossimo tutti atei”. Gli feci scrivere quella frase su un foglio, che tengo da allora appeso nel mio studio. Non mi stupiscono, dunque, gli ottusi e sgraziati necrologi dell’Avvenire e dell’Osservatore Romano contro uno scrittore che non ha mai fatto mistero di pensare della religione tutto il male possibile.
 
Mi stupiscono invece i più subdoli elogi postumi di altri media “laici” a un pensatore comunista che, in vita, andava sistematicamente a testa bassa contro tutto il sistema che essi quotidianamente difendono. Ora che non c’è più lo schermo di un premio Nobel a difendere e proteggere certe idee, sarà più difficile continuare a leggerle, sia pure magari soltanto citate o bollate come “opinioni eretiche”.
 
Qui, almeno, proverò a scriverne qualcuna. Forte del fatto che, come lui stesso disse, “quando si invecchia si diventa liberi, e quando si è liberi si diventa radicali”. E incurante degli epiteti di “anticlericale”, “anticapitalista”, “antidemocratico”, “antisionista”, e cento altri “anti”, che Saramago ci ha insegnato ad accogliere non come insulti, ma come involontari apprezzamenti. Gli unici che si può desiderare di avere da certa gente.