L’intervista

Roberto Bolle: “Sono una star nella danza però da bambino volevo giocare come Holly e Benji”

Roberto Bolle - È uno dei più importanti ballerini del mondo, domani sera su Rai1

31 Dicembre 2017

Roberto Bolle – Danza Con Me su Rai1 ieri ha conquistato 4.860.000 spettatori pari al 21.5% di share. Qui l’intervista al danzatore uscita sul Fatto Quotidiano domenica 31 dicembre 2017

Se fosse un film o un romanzo, lo sceneggiatore o il romanziere dovrebbero dosare bene aggettivi e “immagini” per non cadere nella melassa, anticamera della retorica. Eppure è tutto (incredibilmente) vero. Una sera dei primi Novanta un ragazzino di quindici anni è ancora alla scuola della Scala di Milano, non molla gli allenamenti, è ostinato come pochi: prova alla sbarra, un passo a due, le variazioni, e ancora nonostante l’ora (tarda) e la fatica (tanta). Dopo un po’ compare sulla porta un signore molto più grande di lui, si ferma, lo ammira in silenzio; passano un paio di minuti ed entra nella stanza, chiede al giovane qualche esercizio specifico. Il quindicenne resta senza fiato, ma obbedisce con le forze nervose: Roberto Bolle aveva davanti a sé Rudolf Nureyev.

Da lì in poi è una serie infinita di affermazioni: a diciannove anni è nella Compagnia del Teatro alla Scala, a ventuno Primo Ballerino, a ventitré inizia la sua carriera internazionale. Londra, Berlino, Vienna, Tokyo, Mosca, San Pietroburgo, New York: ovunque e sempre è Bolle. E domani in prima serata su Rai1 va in onda Danza con me, con lui protagonista.

È la vigilia del programma: sotto stress?

Più che altro sotto pressione e in maniera positiva. E comunque lo stress è decisamente inferiore rispetto a quando sono su un palco.

Lei è una star…

E forse non ho ancora in mano neanche tutti i segreti. Sicuramente è mutata la percezione della mia vita, e tutto quello che riesco a realizzare è anche grazie al ruolo che ricopro.

Bolle chiama Bolle.

Ho costruito una credibilità e un credito mediatico grazie al quale ho la possibilità di portare avanti dei progetti che altrimenti sarebbero impossibili.

Il potere mediatico conta.

Tantissimo. Ribadisco: se non avessi questo ruolo, questo seguito importante, non sarei in prima serata su Rai1 e con la danza.

È complicato gestire questo “potere”?

Sì, perché è necessario non sottovalutare i lati negativi. Però questo potere l’ho ottenuto nel modo più complicato: senza mai far parlare di me fuori dal palco, senza scorciatoie, mantenendo un livello alto.

Non è semplice…

Il pubblico non sempre si riconosce in un livello del genere, spesso le persone ritengono di appartenere a un altro mondo, differenti realtà, e ciò non aiuta, come il gossip.

Ogni tanto è stato beccato…

I settimanali, i magazine spesso amano parlare più della vita privata, di scandagliare il personaggio, a quali feste si partecipa, quali luoghi si frequentano. Però non è il mio stile di vita…

Si scoccia?

Capita. Però voglio specificare: non l’ho mai ricercato e per il discorso di prima. Sono stati momenti di sfortuna.

Deve stare attento…

A tutto. La tecnica per limitare i danni è quella di non dare seguito: se esce qualcosa io taccio.

La strategia paga…

Sono arrivato lì dove non pensavo e con un percorso abbastanza invidiabile. Sì, invidiabile, lo posso dire senza falsa modestia.

Modestia?

Devo fingere un profilo basso?

Oltre a lei, la danza è molto relegata nei talent.

Gli riconosco un grande merito: quello di aver fatto parlare molto di ballo, sia contemporaneo che classico. L’unico rischio è quello di creare delle star, degli idoli a tempo limitato, successi di una stagione, magari due, e poi sono superati da un successo successivo.

Ma…

I meriti sono maggiori, i risvolti positivi palpabili, e per un pubblico più vasto del consueto.

Dal tono della sua voce c’è un altro “ma” in arrivo….

Quello di non perdere di vista la realtà, composta da allenamenti e studio quotidiano. Ci vuole calma per raggiungere il giusto valore di un artista.

Calma e talent sembra un ossimoro…

Ed è questo il limite: a 42 anni non smetto di studiare, di investire, e forse questo tipo di percorso non è ben chiaro dentro un format televisivo.

È difficile confermarsi a certi livelli.

Esatto. Il lavoro duro è soprattutto mantenere i punti acquisiti, perché quando hai vent’anni non te ne rendi conto, magari dai per scontato dei lati della professione, magari quel traguardo l’hai toccato con grande semplicità, e sbarelli rispetto ai parametri oggettivi.

Lei a vent’anni?

A quel tempo la difficoltà è stata comprendere di non aver raggiunto quasi nulla.

Lei e il cibo.

Per mantenere la mia struttura devo mangiare molto, ma ho una dieta calibrata, e raramente mi concedo delle varianti, giusto qualcosa per le Feste. Nonostante questo, resta l’unica valvola di sfogo.

Con sensi di colpa?

Certo. Mi salvo con tutto l’allenamento: se mangio oltre il previsto, cerco di recuperare subito, limito i danni.

Parla di “danni”?

(Ride) Non irreparabili: il mio fisico è talmente calibrato da non nascondere nulla.

Dal palco vede il pubblico?

Nei teatri quasi mai, tra noi e la platea c’è spesso l’orchestra, come alla Scala o al Metropolitan di New York.

Distanza di sicurezza…

No, i centimetri giusti per entrare nella parte, mantenere la concentrazione; isolarsi e ricreare le emozioni di chi stai raccontando.

Non sempre ci riesce…

Nelle platee estive il pubblico è più vicino e a volte può distrarre, soprattutto se nelle prime file non spengono i benedetti telefonini.

Mentre vola in alto scorge pure la luce del cellulare?

Capita.

E vorrebbe strapparglielo di mano…

Quanto è difficile trattenersi dal dire: “Adesso anche no, eh…”

Il peggior pubblico rispetto a tale maleducazione?

Purtroppo gli italiani: da noi c’è un po’ meno cultura, magari non si capisce la fatica e la concentrazione necessarie; all’estero è diverso, c’è un’altra sensibilità e abitudine.

Le è mai successo di non voler salire su un palco per la troppa tensione?

È capitato, specialmente tra i venti e i trent’anni: accumulavo così tanto stress, avevo così paura, da sperare in un imprevisto senza gravi conseguenze; un imprevisto che potesse annullare la mia esibizione con legittima motivazione.

In particolare…

Per il debutto alla Royal Albert Hall di Londra o al Metropolitan. Volevo fuggire. Immaginavo la qualunque, con la mente creavo delle situazioni irracontabili.

È mai fuggito da scuola?

Mai. E neanche dal palco. Gli attimi prima del sipario sono terribili, e qui ti rendi conto dell’esperienza, di quanto è necessario imparare a controllare l’ansia come l’adrenalina.

Come gestisce l’adrenalina?

Andrei avanti ore e ore a occhi spalancati, ma con una sostanziale differenza rispetto agli altri artisti: attori e cantanti possono dormire fino a tardi; noi ballerini siamo costretti a una disciplina totale, non derogabile.

Macchine programmate.

La mattina presto siamo in sala ballo per allenarci e a ciclo continuo, compreso il giorno dopo lo spettacolo. Il corpo ha il suo ritmo.

Un fisico del genere l’ha aiutata da ragazzo nel darle sicurezze?

A quindici anni ero alto, ma senza esagerare: questi centimetri e la struttura li ho raggiunti intorno ai sedici-diciassette anni. Comunque sì, altezza e fisico mi hanno aiutato, e da subito per la mia carriera: la danza essenzialmente è estetica; le proporzioni, l’armonia, la bellezza, l’eleganza di un corpo sono alla base del nostro lavoro; avere uno strumento come il mio corpo sul quale lavorare è stato un plus, un dono non indifferente.

Per anni i critici hanno evidenziato una sua predilezione sul palco per l’estetica rispetto al piano emotivo…

Questo poteva accadere quando avevo vent’anni; in realtà oggi amo di più i ruoli coinvolgenti, e mi riferisco ad Armand ne La signora delle camelie. Insomma, oggi mi piace dare una profondità umana diversa.

Con un fisico come il suo, soffre il passare del tempo?

Non ho angoscia, ma certo devo stare attento, anche perché ogni fisico muta ed è fondamentale imparare ad ascoltarlo, anticiparlo, capire e intervenire. E bisogna imparare a convivere con il dolore.

Si danza pure con una frattura…

A volte andiamo a effettuare degli esami, magari delle radiografie per controllare dei traumi, e gli ortopedici scoprono delle micro fratture pregresse senza che noi ce ne fossimo accorti. E non parlo solo di me, è la danza.

Muscoli.

Grazie a loro costruiamo una gabbia incredibile che ci permette di danzare nonostante l’oggettivo dolore.

Non le viene da sorridere quando la definiscono un “dio greco”?

Me ne dicono tante! Capisco di avere un fisico particolare…

Una responsabilità.

Alla fine sì, e in qualche modo capisco che per il pubblico, per chi non è dentro al nostro mondo, è più facile comprendere l’estetica del corpo piuttosto del pathos di un’espressione.

E a quel punto sfoderano il cellulare e scattano.

Eh già… Però il corpo resta pure il mezzo per attrarre le persone verso la danza, quindi lo sfrutto in pieno (da vedere lo spot per la trasmissione).

Luciano Cannito quest’anno ha promosso una petizione per salvare i corpi di ballo, con ben 17 mila firme…

L’aver chiuso due compagnie importanti come il Maggio Fiorentino e il corpo di ballo dell’Arena di Verona, è il segnale peggiore in questo momento. Restano solo Palermo, Napoli, Roma e Milano… Quindi sì, ci vuole maggiore attenzione, ed è giusto questo grido d’allarme in un momento di tale difficoltà. Ed è per questo che sostengo un programma come quello di questa sera.

Nella petizione c’è scritto che sono più gli iscritti alle scuole di danza che a quelle di calcio…

E nonostante i pochissimi sbocchi lavorativi, ora anche ulteriormente ridotti.

Mancano i maschi…

La direttrice dell’Accademia della Scala mi ha raccontato che la percentuale dei maschietti si è moltiplicata, grazie al mio esempio e a quello dei talent.

Ai suoi esordi non era proprio così…

Realtà totalmente differente: il mio rapporto con la danza non lo condividevo con gli altri compagni di scuola o i semplici amici; ho iniziato a parlarne solo quando sono arrivato alla Scala.

Una passione segreta…

È davvero cambiata la percezione delle persone: oggi non si temono atteggiamenti di bullismo; allora invece preferivo tacere.

Da quanti anni non gioca a pallone? Se ha mai giocato…

Forse da quando avevo dieci anni, massimo undici.

Lei sarebbe perfetto per saltare l’avversario…

Infatti da bambino guardavo Holly e Benji, a volte li sognavo pure, e mi immaginavo bravo come loro nel realizzare gol spettacolari, con evoluzioni assurde (È un cartone animato andato in onda dagli anni Ottanta).

Loro quasi volavano…

Meravigliosi: il mio obiettivo erano delle triple capriole, il gol, e i festeggiamenti.

Oltre che bravo e bello, si ritiene pure simpatico?

(Ci riflette un paio di secondi, poi sorride) Direi di sì.

Non lascia niente agli altri mortali…

Twitter: @A_Ferrucci

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