Reintegrato

Consip, “Scafarto solo errori”. E su Tiziano Renzi c’erano tracce

Il Riesame - I giudici riabilitano il maggiore del Noe accusato di falso: “Nessun intento di coinvolgere Matteo Renzi. È accaduto tutto in modo involontario”

Di Vincenzo Iurillo e Valeria Pacelli
28 Marzo 2018

Il padre dell’ex premier Tiziano Renzi era talmente coinvolto nell’inchiesta Consip che non c’era bisogno di falsificare gli atti dell’indagine. Lo scrive il Tribunale del Riesame (presidente Bruno Azzolini) che ha annullato la sospensione dall’Arma per un anno del “carabiniere infedele” Gianpaolo Scafarto. Così il maggiore del Noe torna al Comando regionale di Napoli. Ma la portata della posizione assunta dal Riesame ha conseguenze soprattutto sul capitolo “complotto”, arma dei renziani, che per mesi hanno parlato di un’inchiesta creata ad hoc per colpire Matteo Renzi, dando poco conto alle accuse mosse al padre nel frattempo indagato per traffico di influenze insieme all’imprenditore, suo amico, Carlo Russo.

I falsi contestati a Scafarto sono contenuti nell’informativa del 9 gennaio 2017. La frase “Renzi l’ultima volta che l’ho incontrato”, per l’accusa, è stata attribuita volontariamente ad Alfredo Romeo, l’imprenditore campano a processo per corruzione di un dirigente Consip. Come risultava dai brogliacci, a pronunciarla era stato l’ex parlamentare Italo Bocchino (indagato per traffico di influenze). “La Procura di Roma – è scritto nelle 13 pagine di motivazione del Riesame – ha espresso la convinzione che Scafarto abbia avuto la finalità di dimostrare il coinvolgimento, nell’indagine Consip, di Tiziano Renzi e l’interesse a interferire nelle indagini da parte del figlio” Matteo. Per i giudici – i quali rilevano come non sia la prima volta che si ritrovano situazioni simili in atti giudiziari senza che questo giustifichi un’azione penale – si tratta di un “errore involontario”. Perché “come risulta dalla stessa informativa (…), erano stati acquisiti consistenti elementi indiziari relativi al coinvolgimento di Tiziano Renzi nella vicenda Consip”.

“Già emergeva – spiega il Riesame – che le intercettazioni ambientali delle conversazioni tra Romeo e Bocchino avevano permesso di prendere atto dell’intenzione di Romeo di acquisire appalti presso Consip con metodi illeciti e, a tal fine, di prendere contatti con chi potesse metterlo in contatto con Tiziano Renzi come possibile utile intermediario”. “La discussione registrata tra Romeo e Bocchino – continuano i giudici – ha riguardato anche i compensi da attribuire (anche) a Tiziano Renzi, determinati, nelle intenzioni, in 30 mila al mese. È stata altresì intercettata la conversazione avvenuta in occasione dell’incontro tra Russo, in ottimi rapporti di amicizia con Tiziano Renzi, e Romeo nel corso della quale furono quantificate le offerte di compenso”. Il riferimento è all’incontro tra Russo e Romeo, durante il quale, secondo i carabinieri, i due parlano di un presunto accordo che prevedeva 30 mila euro al mese per Tiziano Renzi e 5 mila al bimestre per Russo, in cambio dell’influenza sull’ad di Consip, Luigi Marroni.

Non sono state trovate prove di passaggio di denaro e la Procura sta verificando se Russo abbia millantato. Per il Riesame “sembra poco credibile che Scafarto abbia voluto falsificare l’informativa per affermare una circostanza che poco avrebbe apportato al suo intento di ‘inchiodare Tiziano Renzi alle sua responsabilità’”. E non ci sarebbe stata neanche l’intenzione di colpire l’allora premier: era stato Scafarto infatti a correggere “il testo di una conversazione intercettata indicando in Marco Canale l’interlocutore dell’ad di Consip, piuttosto che Marco Carrai”. “Quale migliore occasione – si chiedono i giudici – avrebbe avuto Scafarto per coinvolgere Matteo Renzi di quella di accertare un diretto contatto tra Carrai e Marroni”.

Il maggiore del Noe è accusato anche di depistaggio e rivelazione di segreto per aver inviato degli atti Consip ad alcuni ex colleghi poi andati all’Aise, i servizi segreti esteri. Nella sua memoria difensiva, Scafarto ammette che i file “erano diretti al colonnello Sergio De Caprio (alias Ultimo, estraneo alle indagini, ndr)”, il quale però conosceva già quei documenti “da febbraio 2016”. La trasmissione dei file è un “fatto oggettivo”, ma per i giudici “permane perplessità per quel che riguarda la configurabilità del reato sotto il profilo della sussistenza del concreto pericolo per la Pubblica amministrazione attesa la qualità dei soggetti ai quali sono stati trasmessi i file”. La Procura presenterà ricorso. Si preannuncia uno scontro.

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