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Brunetta e Cartabia, i giornalisti genuflessi li han salvaguardati

12 Aprile 2023

Il silenzio dei principali giornali sulle ultime avventure degli ex ministri Renato Brunetta e Marta Cartabia dimostra quanto Indro Montanelli avesse ragione quando scriveva che in Italia “la servitù in molti casi non è una violenza dei padroni, ma una tentazione dei servi”. Solo un’innata attitudine alla genuflessione può spiegare perché nelle redazioni nessuno abbia battuto ciglio di fronte alla notizia che dava Brunetta come probabile presidente del Cnel, il gattopardesco ente inutile oggi presieduto da Tiziano Treu. Brunetta è il responsabile politico del flop dei concorsi pubblici che in questi anni dovevano immettere nella pubblica amministrazione migliaia di giovani tecnici in grado di indire le gare e far partire gli appalti del Pnrr. Nel disinteresse quasi generale dei media, attenti a non proferire critiche nei confronti di qualsiasi attività del governo Draghi, il ministero di Brunetta ha però sbagliato molti bandi e non ha saputo offrire ai potenziali candidati retribuzioni e condizioni di lavoro allettanti. La nostra burocrazia è rimasta così sguarnita e il Pnrr si è incagliato in ritardi che minacciano ora di farlo saltare.

Quello che è accaduto è un esempio eclatante dei danni causati dai media quando sono collaterali al potere. Se gli errori di chi è pro-tempore al governo vengono segnalati accade a volte che si corra ai ripari. Se invece non lo si fa, e anzi si applaude a prescindere, può persino succedere che Brunetta diventi per due volte ministro della Pubblica amministrazione. La prima nel 2008, con Silvio Berlusconi premier, quando s’impegna in una fallimentare riforma della burocrazia nella quale l’idea (giusta) di valutare i dipendenti in modo da favorire l’efficienza degli uffici si traduce in promozioni di massa farsa. La seconda nel 2021 con il governo dei migliori che, presumibilmente, non sarebbe più stato definito tale se chi sui media lo chiamava così avesse ricordato i poco commendevoli trascorsi ministeriali di Brunetta.

Il brillante risultato di questa operazione giornalistica è oggi il Pnrr a un passo dal disastro e un’Italia che come i gamberi anche in altri campi va indietro. Prendete ad esempio la giustizia. La responsabile di quel ministero era l’elogiatissima Marta Cartabia, docente di diritto pubblico ex presidente della Corte costituzionale, per anni portata in palmo di mano dal 99 per cento degli editorialisti. La professoressa Cartabia quando arriva in via Arenula non ha nessuna esperienza di tribunale. Come funzioni davvero un processo lo ha letto solo sui libri. Così ne infila una dopo l’altra: prima prevede che pure i dibattimenti per mafia e terrorismo possano evaporare in secondo grado se durano troppo a lungo. Interviene Giuseppe Conte e alla fine Draghi la corregge. Poi stabilisce che per una serie di reati – tra cui il furto, il sequestro di persona, le lesioni – si proceda solo a querela di parte persino se commessi dai boss. Non appena la norma entra in vigore esplode l’indignazione dei cittadini e il governo Meloni la cambia. Infine toglie l’equiparazione tra le sentenze di condanna e quelle di patteggiamento. Risultato: la legge Severino che impedisce ai politici condannati di farsi rieleggere non vale più per chi ha concordato con l’accusa una pena. In parlamento i ladri rientreranno tutti. Mentre nelle gare di appalto torneranno a competere gli imprenditori che hanno patteggiato.

Oggi però sarebbe sbagliato prendersela con Marta Cartabia che, come era evidente dall’inizio, non sapeva cosa faceva. Il problema sono gli altri. Perché loro sapevano, ma intanto leccavano.

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