Biden stringe sul clima, ma i maggiori inquinatori non ci stanno. Greta dice no al vertice Onu: la stampa internazionale

20 Aprile 2021

Giornata della Terra, Biden vuole che i leader assumano impegni per il clima

L’amministrazione Biden si sta avvicinando ad accordi con Giappone, Corea del Sud e Canada per rafforzare gli obiettivi di riduzione delle emissioni di carbonio in tutti e quattro i paesi, in vista del vertice dei leader mondiali che si terrà il 22 aprile. Ma il fatto che simili accordi con Cina, India e Brasile, che producono più di un terzo delle emissioni globali, siano invece sfuggenti dà il segno di quanto sarà difficile per Biden fare del clima il centro della sua politica estera. La collaborazione del più grande produttore mondiale di inquinamento climatico è vitale per rallentare il riscaldamento globale, ma Pechino è anche il più grande rivale di Washington sulla scena mondiale. Con il Brasile, gli sforzi dell’amministrazione Biden per negoziare un piano di protezione della foresta pluviale amazzonica con Jair Bolsonaro hanno diviso aspramente i sostenitori dell’ambiente. Infine in India l’amministrazione deve valutare la sua necessità di cooperazione con le sue preoccupazioni sui diritti umani.
Fonte: New York Times

Greta Thunberg annuncia che salterà il vertice delle Nazioni Unite sul clima a Glasgow

Greta Thunberg, l’attivista svedese per il clima, ha detto che non parteciperà ai prossimi colloqui internazionali sul clima a meno che tutti non possano essere vaccinati allo stesso modo e partecipare in sicurezza. “La disuguaglianza e l’ingiustizia climatica sono già il cuore della crisi climatica”, ha scritto su Twitter. “Se le persone non possono essere vaccinate e viaggiano per essere rappresentate allo stesso modo, ciò non è democratico e peggiorerebbe il problema”.

Fonte: New York Times

Giappone, il governo rilascerà l’acqua radioattiva di Fukushima in mare

Le acque di raffreddamento radioattive della centrale nucleare di Fukushima Daiichi, danneggiata dal terremoto del 2011, verranno riversate in mare: l’annuncio ufficiale, di una decisione già presa da tempo, è arrivato in una conferenza stampa al termine della riunione del Consiglio dei ministri dal primo ministro giapponese Yoshihide Suga. Secondo quanto anticipato dai tecnici del gestore dell’impianto, la Tokyo Electric Power Co. (Tepco), prima del rilascio l’acqua attualmente immagazzinata nei serbatoi di raffreddamento dell’impianto verrà trattata utilizzando un avanzato sistema di trattamento dei liquidi, noto come Alps, in grado di rimuovere la maggior parte degli elementi radioattivi come lo stronzio e il cesio. Non sarà possibile tuttavia filtrare il trizio, che presenta un rischio minore per la salute umana se presente in bassa concentrazione.

Fonte: La Nuova Ecologia

Rapporti e studi

Animali in città, i comuni spendono ma i risultati sono pessimi

La gestione degli animali nelle città italiane, nella sua disomogeneità, è un buon indicatore del caos amministrativo del paese, dei suoi immensi divari tra aree geografiche e tra comuni. È quanto emerge dalla nona edizione di Animali in città, indagine di Legambiente sui servizi offerti dalle amministrazioni comunali e dalle aziende sanitarie per la gestione degli animali d’affezione e la qualità della nostra convivenza in città con animali selvatici e non. Il 69,5% dei Comuni dichiara di avere uno sportello (un ufficio o un servizio) dedicato ai diritti degli animali in città. Teoricamente, dunque, oltre due terzi dei Comuni dovrebbero essere in condizioni di dare buone risposte alle esigenze dei cittadini e dei loro amici pelosi, piumosi o squamati; in realtà, solo uno su sette (15,7%) raggiunge una performance sufficiente e solo Prato, Modena e Bergamo superano il punteggio necessario a raggiungere l’ottimo. La spesa per la gestione degli animali in città ammonta complessivamente a 228.682.640 euro nel 2019 (con un incremento del 3,6% rispetto all’anno precedente). I Comuni dichiarano, infatti, di aver speso per questa voce 156.857.113 euro, a cui vanno sommati i 71.825.527 euro spesi dalle aziende sanitarie. La somma totale è ingente se confrontata con altre voci di spesa del paese, è pari a 2,7 volte la somma impegnata per tutti i 24 parchi nazionali italiani (85.000.000,00 euro, riparto 2019) o a 62 volte quella per tutte le 27 aree marine protette (3.708.745,90 euro, riparto anno 2019) e complessivamente spropositata rispetto alla qualità dei servizi offerti in termini di benessere animale.

Fonte: Legambiente

Ridurre l’acidificazione degli oceani rimuovendo la CO2 dall’atmosfera

Per contrastare l’acidificazione dei mari, e consentire un maggior assorbimento di CO2 atmosferica, numerosi gruppi di ricerca stanno studiando una tecnica chiamata ocean alkalinization (alcalinizzazione dei mari), consistente nella dissoluzione in acqua marina di sostanze alcaline quali l’idrossido di calcio (calce idrata), in modo da aumentarne il pH e “tamponare” l’acidità. Un nuovo studio, pubblicato di recente sulla rivista scientifica “Frontiers in Climate” ha esaminato nel dettaglio il processo di alcalinizzazione dei mari. La ricerca, realizzata dalla Fondazione Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici e dal Politecnico di Milano nell’ambito del progetto Desarc-Maresanus, con il supporto finanziario di Amundi e la collaborazione della start-up CO2Apps, ha realizzato uno studio approfondito dell’applicazione della tecnica di alcalinizzazione applicata al mar Mediterraneo, tenendo conto delle sue caratteristiche regionali. Le strategie di alcalinizzazione applicate in questo studio al Mar Mediterraneo rivelano il potenziale di mitigazione dei cambiamenti climatici di queste tecniche, in grado di rimuovere la CO2 dall’atmosfera e contemporaneamente contrastare l’acidificazione dei mari. Inoltre, a differenza degli studi realizzati in passato sull’argomento, gli scenari delineano chiaramente il percorso da seguire per la loro messa in pratica, dal momento che si basano su livelli realistici di scarico di idrossido di calcio nel Mar Mediterraneo tramite le flotte navali commerciali attualmente in circolazione.

Fonte: Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici

Usa, le grandi aziende di carne e latticini hanno speso milioni di lobbying contro l’azione per il clima

Secondo una nuova ricerca della New York University, le principali aziende statunitensi di carne e latticini, insieme a gruppi di lobbismo per il bestiame e l’agricoltura, hanno speso milioni in campagne contro l’azione per il clima e seminando dubbi sui legami tra allevamenti e cambiamento climatico. Lo studio, pubblicato sulla rivista “Climatic Change”, ha anche affermato che le più grandi aziende mondiali di carne e latticini, a parte vaghe promesse, non stanno facendo abbastanza per ridurre le loro emissioni di gas serra. Gli autori hanno calcolato che l’industria agroalimentare statunitense ha speso 2,5 miliardi di dollari in attività di lobbying tra il 2000 e il 2019, rispetto ai 6,2 miliardi di dollari delle società energetiche e delle risorse naturali.

Fonte: Inside Climate news

Il problema del greenwashing si fa sempre più ampio

La Commissione europea, insieme alle associazioni dei consumatori europee, hanno effettuato una ricerca sui siti web delle aziende per valutare quanto diffuso sia il problema del greenwashing nel nostro continente. L’indagine ha analizzato le affermazioni a sostegno delle attività green delle aziende sui loro siti web – in vari settori commerciali quali abbigliamento, cosmetici ed elettrodomestici. L’ampio screening effettuato su 344 siti web ha portato ad appurare che in più della metà dei casi l’azienda non ha fornito informazioni sufficienti per permettere ai consumatori di giudicare l’accuratezza delle sue affermazioni; nel 37% dei casi, le affermazioni pubblicate erano vaghe e generiche come “consapevole”, “eco-friendly”, “sostenibile” e miravano soprattutto a trasmettere ai consumatori l’impressione non comprovata che un prodotto non avesse alcun impatto negativo sull’ambiente; nel 59% dei casi l’azienda non ha fornito prove facilmente accessibili per sostenere la sua affermazione.

Fonte: Green Planner

Buone pratiche e notizie

Farmaco equivalente per uso veterinario, ora è realtà

È stato firmato dal ministro della Salute, Roberto Speranza, il Decreto che riconosce la possibilità di prescrizione di un medicinale per uso umano che contiene lo stesso principio attivo del farmaco veterinario, sulla base della migliore convenienza economica dell’acquirente. Si tratta di una conquista a favore di milioni di animali, circa 15 milioni considerando solo i cani e i gatti, e delle loro famiglie che grazie alla volontà del ministro Speranza potranno finalmente risparmiare sui costi, talvolta spropositati, del farmaco veterinario, e di estensione del diritto alla cura per tutti i cani e i gatti, anche quelli che una famiglia non la hanno. Alcuni esempi: se il cane o il gatto avranno la gastrite si potranno risparmiare 20 euro per ogni confezione, mentre per una patologia cronica come la cardiopatia si potranno risparmiare 334 euro all’anno (per un cane di 20 kg) e ben 524 euro se ha bisogno anche del diuretico. Per il cane con epilessia idiopatica si potranno risparmiare in media 135 euro all’anno. E se il gatto di 5 kg soffre di ipertiroidismo, il risparmio annuo sarà di 138 euro.

Fonte: Lav

Apple crea un fondo da 200 milioni di dollari per la riforestazione

Apple ha creato un fondo di 200 milioni di dollari da investire in progetti forestali per aiutare a rimuovere il carbonio dall’atmosfera, generando allo stesso tempo rendimenti finanziari per i suoi investitori. Il “Restore” Fund investirà in proprietà forestali gestite per aumentare la rimozione del carbonio e produrre legname. L’obiettivo è rimuovere un milione di tonnellate di anidride carbonica all’anno dall’atmosfera. L’anno scorso Apple ha dichiarato di voler eliminare i suoi contributi al cambiamento climatico e diventare carbon neutralentro il 2030. L’azienda afferma che eliminerà direttamente il 75% delle emissioni dalla sua catena di approvvigionamento e dai suoi prodotti entro il 2030 e il Restore Fund aiuterà ad affrontare gli altri 25 per cento delle sue emissioni.

Fonte: The Verge

L’opinione

Ecocidio: la distruzione del pianeta dovrebbe essere un crimine?

Di David Sassoon

“In molti momenti della storia, la propensione dell’umanità alla distruzione sfrenata ha richiesto moderazione legale e morale. Una di quelle volte, impressa nella coscienza moderna, arrivò alla fine della seconda guerra mondiale, quando le forze sovietiche e alleate liberarono i campi di concentramento nazisti di Auschwitz e Dachau. Fotografie e cinegiornali hanno scioccato la coscienza del mondo: mai così tanti erano stati testimoni di prove di un crimine così atroce, e così senza precedenti, che fosse necessaria una nuova parola – genocidio – per descriverlo e, in breve tempo, un nuovo quadro di giustizia internazionale fu eretto per metterlo fuori legge. Un altro crimine di simile portata è ora diffuso nel mondo. Non è così cospicuo e ripugnante come un campo di sterminio, ma il suo potere di distruzione di massa, se lasciato incontrollato, colpirebbe la vita di centinaia di milioni di persone. Anche un movimento per metterlo fuori legge sta guadagnando slancio. Quel crimine si chiama ecocidio. Papa Francesco ha suggerito di enumerarlo come peccato nel Catechismo della Chiesa Cattolica, un testo di riferimento per insegnare la dottrina della fede. L’ecocidio non è ancora illegale. Gli avvocati internazionali stanno lavorando per codificarlo come un quinto crimine, ma la loro campagna deve affrontare una strada lunga e incerta, piena di questioni spinose. Perseguire e incarcerare leader politici e dirigenti aziendali per azioni ecocide, come quella di Bolsonaro, richiederebbe un’analisi dei confini legali e una ricalibrazione della responsabilità penale. Ma il potere morale dei sostenitori aumenta con l’avanzare della distruzione ambientale. Hanno già molte prove ammissibili per sostenere la necessità di porre limiti ai comportamenti che peggiorano le cose planetarie”.

Fonte: Inside Climate news

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