Omicidio Regeni, ennesimo schiaffo dall’Egitto

5 Luglio 2020

Due eventi internazionali di giudici e tribunali hanno coinvolto l’Italia nel corso di una settimana. La Corte di Giustizia dell’Aja ha accolto la posizione italiana sulla tragica vicenda dei due marinai italiani di scorta a una nave privata, che hanno sparato e ucciso quando hanno creduto che due uomini in acqua fossero pirati. L’Italia ha ammesso il gravissimo errore, ha difeso la non intenzionalità del tragico evento, ha pagato ciò che la giustizia indiana ha indicato (benché la vita di uomini non sia risarcibile) e ha posto il problema della giurisdizione (chi deve giudicare?) per non abbandonare due cittadini alla prigionia lontana e a un percorso giuridico sconosciuto.

Nell’attesa ha osservato tutte le regole che sono state imposte agli imputati, alla loro diplomazia, al loro governo, al loro Paese. Un comportamento chiaro e privo anche di minimi inganni procedurali, di pretese di potere e di trucchi ha sortito il suo effetto.

Il secondo evento è l’Egitto, dove quattro anni fa è stato ucciso, dopo cattura, detenzione e torture, il giovane ricercatore italiano Giulio Regeni, che era in missione di studio in quel Paese, inviato dall’Università di Oxford, in cui stava lavorando al suo dottorato. Alcuni fatti odiosi o misteriosi o rimasti per sempre oscuri hanno segnato in modo torbido l’evento. Il corpo è stato ritrovato abbandonato in una strada periferica del Cairo in condizioni che rivelavano gravissime e deliberate ferite ricevute da vivo e dunque in una situazione di prigionia e di tortura.

Le autorità di polizia locali hanno identificato e ucciso un piccolo gruppo di borseggiatori locali, nel corso di una operazione indicata come “definitiva scoperta del delitto”. Il tentativo è stato un passo falso, la prima rivelazione che c’era una segreto da coprire e una pista di Stato da far sparire. Sul momento il governo italiano è sembrato fermo, ha richiamato l’ambasciatore e preteso una vera indagine che il presidente-dittatore Al Sisi ha prontamente promesso. Presto però comincia a disegnarsi una diplomazia italiana molto più debole e indecisa di quella che ha protetto fino alla fine i marò che rischiavano il processo in India. Questa volta l’assistenza avviene in un clima di gentilezza, come fra amici che insieme vedranno un po’ che cosa si può fare tenendo conto che quel che è stato è stato e che la vita continua, come i commerci fra Paesi amici. Amici nonostante la cattura, la prigionia, le lunghe e feroci torture, fino alla morte di un giovane italiano colpevole di nulla? Eppure l’ambasciatore italiano viene rimandato quasi subito in Egitto, seguito da discorsi fra amici che si dichiarano: “Insieme scopriremo la verità”.

S’intende che i primi a essere offesi, nel loro immenso dolore, sono madre e padre Regeni, che si sentono lasciati soli, con il corpo martoriato del figlio. Ma anche la magistratura italiana viene isolata e beffata. Gli strumenti giuridici vengono ignorati. I giudici egiziani non rispondono a nulla, o usano modeste parodie di possibili rivelazioni. Un momento particolarmente triste e disonorevole per il governo c’è stato quando i genitori Regeni chiedevano almeno il gesto simbolico di ritirare di nuovo l’ambasciatore, visto l’indegno comportamento egiziano. “Uno schiaffo all’Italia”, ha detto il presidente della Camera dei deputati Fico, unica autorià italiana insorta. Gli ha risposto un po’ stizzito un sottosegretario agli Esteri che “gli ambasciatori non sono pedine”. E invece è esattamente quello che sono, in un radicale cambiamento della diplomazia in cui i capi di Stato e di governo comunicano direttamente e persino i ministri degli Esteri sono portavoce e simboli.

Avere al Cairo un simbolo di legami d’amicizia Egitto-Italia (al punto da vendere nel frattempo all’Egitto due costosissime navi da guerra), mentre la polizia e i servizi locali hanno dimenticato e i servizi segreti italiani sembrano tenersi lontano è probabilmente un grave errore.

Ma fate attenzione a un sinistro dettaglio. Una finzione di indagine su un unico fatto certo (assassinio di un cittadino italiano inviato al Cairo da una università inglese per raccontare certi sindacati) ha puntato sempre al progetto di scoprire chi ha compiuto (e in modo orrendo) il delitto. Ma non si è posta mai la domanda: per quale ragione o mandato il giovane dottorando italiano è stato ucciso? In quale contesto o situazione politica, per chi e contro chi e in base a quali possibili o probabili ragioni è avvenuto il crimine, in quel modo terribile e simbolico, come un avvertimento? È vero che richiamare a Roma l’ambasciatore italiano al Cairo danneggerebbe i nostri interessi. Non sarà la ragione stessa del delitto e un percorso da esplorare per i nostri esperti? Pensate, ogni volta che si reca a Palazzo, il rappresentante della Repubblica italiana stringe le mani degli assassini di Giulio Regeni.

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