l’intervista - Riccardo Laganà

Rai, il consigliere dei dipendenti Laganà: “Solite spartizioni di cariche. Manca trasparenza, tutto dipende dalla politica”

Il consigliere eletto dai dipendenti: “Siamo ancora a ‘il tg a me e la direzione a te’. Il piano dell’ad è timoroso”

Di Gianluca Roselli
28 Aprile 2019

“Quando in Rai circola il nome di una persona candidata a occupare una posizione, la prima cosa che ti dicono è a quale area politica appartiene. Poi, se avanza tempo, si dice anche se è competente o no…”. Riccardo Laganà è il consigliere di amministrazione della tv pubblica eletto dai dipendenti, l’unico su cui il personale dell’azienda si è espresso con un voto (1.916 consensi). Nelle scorse settimane Laganà ha votato contro il piano industriale presentato dall’ad Fabrizio Salini, approvato dal cda.

Laganà, sta dicendo che, nonostante le belle parole sulla Rai del cambiamento, l’ingerenza della politica è sempre la stessa?
Per quello che vedo io, sì. Ci si muove, come in passato, solo con logiche spartitorie tra le forze politiche. Quella direzione di rete a Caio, quel Tg a Sempronio. In Viale Mazzini mancano i criteri di trasparenza sulle procedure di nomina, dove c’è troppa discrezionalità. Tutto sembra sempre dipendere dalla politica. A breve ci saranno nomine importanti: utilizzare il job posting sarebbe positivo.

Per esempio?
Le nove direzioni di contenuto, per esempio, potrebbero essere assegnate con questo sistema, così come il personale o il marketing, fino ad autori e registi o ai direttori di reti e Tg. Il job posting ora è usato solo per i livelli intermedi, invece andrebbe utilizzato anche per i dirigenti.

Perché ha votato no al piano industriale?
Pur contenendo diversi aspetti positivi, nel piano manca la trasparenza sui processi aziendali e c’è incertezza sulle risorse economiche per il prossimo triennio. Inoltre non esiste un progetto industriale ed editoriale per le sedi regionali. E ci voleva un po’ più di coraggio…

Dove?
Sull’informazione. Occorreva procedere verso una newsroom unica, senza più le tre principali testate giornalistiche. Il pluralismo non lo si garantisce solo col numero dei Tg. Ma qui è stato il presidente Marcello Foa a opporsi.

Diversi esponenti della commissione di Vigilanza hanno accusato Foa di travalicare il suo ruolo. È così?
Il suo peso sul piano informazione si è fatto sentire. Del resto, in azienda la parte che guarda alla Lega sembra acquisire sempre più spazio. Salini deve andare dritto per la sua strada, in piena autonomia, senza cedere alle pressioni, perché la riforma gli affida pieni poteri. Foa, invece, deve esercitare il suo ruolo di presidente di garanzia: ha già le sue deleghe, non credo se ne debba prendere altre.

Lei ha criticato Foa per la sua presidenza a RaiCom.
Il fatto che il presidente della Rai rivesta un incarico anche nella consociata che commercializza i diritti all’estero può generare un conflitto tra i ruoli. Lo stesso vale per il consigliere Igor De Biasio, che siede anche nel Cda di RaiCom. Si tratta di due nomine legali, ma inopportune. E il canale in inglese (che sarà gestito da RaiCom, ndr) sarebbe dovuto restare sotto Rai Spa, come le altre direzioni.

A proposito, ad di RaiCom è Monica Maggioni (ex presidente Rai), mentre l’ex dg Mario Orfeo è stato nominato alla presidenza di RaiWay. Che ne pensa?
Credo che due grandi professionisti dell’informazione come loro potevano essere impiegati in ruoli più vicini alle loro caratteristiche.

Cosa pensa del caso Fazio e del tetto per gli artisti proposto da Salvini?
Sono contrario a un tetto, ma si può introdurre un sistema di riduzione progressiva negli anni per fasce di compenso. Io non contesto Fazio in quanto tale, ma il sistema che si porta dietro: la società di produzione, gli autori e tutto il resto. In Rai c’è un problema enorme di appalti esterni. Ogni anno l’azienda spende 80 milioni di contratti per collaborazioni artistiche. Si potrebbero ridurre di almeno il 25%, valorizzando le eccellenti professionalità presenti in azienda. Anche perché poi agenti e case di produzione tendono a fare il bello e il cattivo tempo: incidono sui palinsesti e impongono i loro nomi.

Quale sarebbe lo strumento migliore per allontanare la politica dalla Rai?
Ci vorrebbe una seria riforma basata sull’istituzione di un consiglio per le garanzie del servizio pubblico costituito da rappresentanze culturali e sociali del Paese. A questo proposito in Parlamento c’è un’ottima proposta di legge presentata da Sinistra italiana. In tal senso, la commissione di Vigilanza, che ora serve solo a far sentire la pressione dei partiti sull’azienda, verrebbe superata.

Lei è stato eletto dai dipendenti, cosa le dicono quando la incontrano?
Vogliono sapere cosa sto facendo e danno suggerimenti. Ho chiesto di utilizzare uno spazio nel sito intranet aziendale per tenere con loro un dialogo aperto, ma mi è stato negato. Si può parlare coi dipendenti solo incontrandoli o tramite i social. Assurdo, no?

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