Cose loro

Mafia, il pentito che disse: “Il Divo è punciutu” non si trova più

Leonardo Messina - Passò dalla parte dello Stato dopo Capaci. Fuori dalla “protezione” da 3 anni, è irreperibile da 3 mesi. Gli inquirenti: “C’è preoccupazione”

19 Aprile 2019

Narduzzo di San Cataldo non si trova più: è l’ultimo pentito con cui Paolo Borsellino parla, due giorni prima di morire, è l’unico a definire Giulio Andreotti punciutu, affiliato a Cosa nostra.

Leonardo Messina, 64 anni, ex collaboratore di giustizia prezioso per i magistrati che hanno indagato su Cosa nostra, sempre ritenuto attendibile dalle procure di Caltanissetta e Palermo, infame per i boss rinchiusi con cui ha condiviso i crimini fino al ’92, è irreperibile almeno da tre mesi, dall’ultima volta che lo Stato lo ha cercato – al domicilio conosciuto dall’Ufficio centrale per la protezione personale – per convocarlo a testimoniare in un processo per un omicidio di mafia. Messina è uscito dal programma di protezione nel marzo 2016, con una capitalizzazione di circa 50 mila euro per la collaborazione con la Repubblica italiana.

 

“Andreotti affiliato” e la vigilia di via D’Amelio

E gli investigatori non sarebbero preoccupati se Leonardo Messina non avesse il peso che ha nella storia recente per le dichiarazioni sulle trame oscure che ancora avvolgono il periodo delle Stragi, per le rivelazioni sui rapporti tra Cosa nostra, ’ndrangheta e massoneria deviata, per quanto raccontato su Giulio Andreotti, morto nel 2013, sette volte presidente del Consiglio, riconosciuto colpevole nel 2003 dalla Corte d’appello di Palermo per associazione a delinquere con Cosa nostra fino al 1980, ma “salvato” dalla prescrizione. Il 30 giugno 1992, Narduzzo, agli arresti da due mesi, parla nella sede dello Sco di Roma. Fra le altre cose racconta ai magistrati di Palermo, tra i quali c’è Paolo Borsellino, cose che avrebbe poi ribadito al processo Trattativa Stato-mafia nel 2013: “Lillo Rinaldi, che frequentava Piddu Madonia (oggi 73enne al 41 bis, ma fino a qualche tempo fa ancora influente seppur dal carcere, capo indiscusso della mafia di Caltanissetta, ndr) disse che Andreotti era punciutu, mentre c’era chi diceva che Andreotti fosse il figlio di un Papa. Salvo Lima e Andreotti erano i politici che dovevano garantire che il maxi-processo sarebbe stato assegnato al giudice Corrado Carnevale in Cassazione e non ci sarebbero stati problemi. L’ottimismo cessa quando i politici si allontanano e non riescono a far assegnare il processo al giudice Carnevale. C’è stato un momento in cui in Cosa nostra si decise di non votare per la Democrazia cristiana ma per i socialisti. Io ho ricevuto l’ordine preciso di votare e far votare per i socialisti. L’onorevole Claudio Martelli quando è arrivato al potere, scavalcando l’ala craxiana, non ha mantenuto i patti. Io non partecipavo alle riunioni ma venivo messo a conoscenza delle decisioni prese”. Salvo Lima, referente di Cosa nostra per la Dc in Sicilia, era già stato ucciso il 12 marzo 1992.

I colloqui con Borsellino continuarono. Narduzzo lo racconta nel 2013: “Il dottore mi disse: ‘A noi serve solo la verità. Non le congetture o i pensieri’. E così ho iniziato a collaborare parlando per ore con lui”. Il 17 luglio 1992 ci fu l’ultimo incontro: “Il dottore era molto nervoso, fumava in continuazione. Accese un’altra sigaretta e prima di andare via mi disse: ‘Signor Messina, non ci vediamo più, è arrivata la mia ora. Non c’è più tempo, la saluto’. Sapeva di morire”. Passano 48 ore e anche via D’Amelio salta in aria. Il 17 novembre 1992 l’operazione Leopardo, generata proprio da quelle chiacchierate tra Messina e Borsellino, porta agli arresti di 200 uomini d’onore in tutta Italia.

 

La Lega meridionale e la vedova Schifani

Le deposizioni degli anni Novanta di Leonardo Messina sono state di recente inserite anche nell’inchiesta ’ndrangheta stragista della Procura di Reggio Calabria. Messina parlò di un coordinamento tra le mafie siciliana e calabrese nella svolta di tritolo e sangue del ’92, dei legami con la massoneria deviata e con pezzi dello Stato, del ruolo di Licio Gelli nell’idea sostenuta da Leoluca Bagarella di creare una Lega meridionale, Sicilia libera, con lo scopo di una secessione da cui generare un narcostato del Sud gestito dai Corleonesi. “Mi trovai a conversare con Borino Miccichè, il Potente e Giovanni Monachino (arrestato a Pietraperzia meno di un mese fa, ndr). Umberto Bossi era andato a Catania. Io che consideravo Bossi un nemico della Sicilia dissi: ‘Perché un’altra volta che viene qua non l’ammazziamo?’ Il Miccichè rispose: ‘Ma che sei pazzo? Bossi è giusto’. Spiegò che era un pupo di Gianfranco Miglio, espressione di una parte della Dc e della massoneria con a capo Giulio Andreotti e Licio Gelli, che sarebbe nata una Lega del Sud”. Quel progetto fu poi abbandonato, scalzato dall’idea di Forza Italia.

Narduzzo, licenza elementare ma dal buon eloquio, combinato uomo d’onore il 21 aprile 1982 con la famiglia di San Cataldo, amico del feroce Piddu “chiacchiera” Madonia, fu catturato appunto nel 1992 e spiegò così il suo pentimento dopo Capaci: “La mia crisi è di tipo morale. Quando ho sentito in tv la vedova dell’agente di scorta, Vito Schifani, parlare e pregare gli uomini di mafia, le sue parole mi hanno colpito come macigni e ho deciso di uscire dall’organizzazione nell’unico modo possibile, collaborando con la giustizia”. Se Tommaso Buscetta fu il primo a parlare di un’entità che garantiva Cosa nostra, Messina fu il primo a raccontare che il punciutu Andreotti fosse il santo in paradiso dei boss, tanto da essere chiamato anche lo “zio”. Chissà ora dov’è Narduzzo.

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