Addio polemico

Consob, Mario Nava non ha detto la verità. Il report che l’ha inguaiato

Ha mentito pure al Colle? - L’avvocato generale dell’Autorithy smentì la linea di difesa del presidente “in distacco”: “Dire il falso comporta la decadenza...”

Di Carlo Di Foggia e Antonella Mascali
15 Settembre 2018

L’ormai ex presidente della Consob, Mario Nava, ha mentito sulla sua incompatibilità? È il dubbio che il premier Giuseppe Conte e gli alti dirigenti di Palazzo Chigi e Quirinale hanno avuto leggendo il parere dell’avvocato generale dell’Autorithy sulla sua nomina. È lo stesso Fabio Biagianti a sollevarlo alla fine delle 26 pagine consegnate a fine giugno ai commissari Consob che dubitavano, come rivelato dal Fatto, della versione fornita loro da Nava di non potersi mettere in aspettativa da Bruxelles, come impone la legge, e per questo di aver ottenuto il “comando nell’interesse” della Commissione europea che equivarrebbe alla stessa cosa.

Dopo le dimissioni, ieri Nava ha fatto filtrare alle agenzie l’accusa verso i commissari Giuseppe Maria Berruti e Paolo Ciocca, di non essere “quelli davvero titolati, al contrario di Anna Genovese e Carmine Di Noia”. Ha definito le sue dimissioni “uno spoils system”, favorito dai giornali “dove sono uscite cose note solo in Commissione”. A leggere il parere di Biagianti e il resto dei documenti, si capisce invece la gravità della vicenda che ha tenuto in scacco le massime istituzioni del Paese. E che ha spinto il governo, con l’avallo del Colle, ad accelerare.

Nava viene designato dal governo Gentiloni prima di Natale. Invece di mettersi in aspettativa, come impone la legge istitutiva della Consob, sceglie invece di farsi mettere “in comando nell’interesse” della Commissione. Lo fa per conservare la tassazione agevolata dei funzionari Ue (un risparmio di circa 6mila euro al mese). Gentiloni acconsente e detta la linea all’ambasciatore italiano a Bruxelles, Maurizio Massari, che l’8 febbraio scrive alla Commissione che non ci sono problemi. Bruxelles temeva giustamente che il comando fosse incompatibile con i requisiti di imparzialità e tempo pieno previsti per il presidente Consob. Massari rassicura: “Converrete che in nessun caso una legge nazionale che si riferisce a dipendenti dello Stato può essere interpretata per estensione come applicabile anche a un civil servant della Ue”. Nava chiede un comando di 3 anni, quando l’incarico in Consob è di 7. La Commissione si fida e lo dispone. Scoperto il guaio, ad agosto mostra tutto il suo malumore in una risposta agli europarlamentari M5S in cui spiega che è stato il governo a rassicurarla che non c’erano problemi. E che Nava poteva mettersi in aspettativa.

Il parere di Biagianti, consegnato il 27 giugno, è lapidario. L’avvocato generale smentisce la versione di Massari – la cui lettera è stata fornita da Nava con “premura di preservarne la natura particolarmente delicata e riservata” – spiegando che vige la normativa italiana per i vertici di Consob e col comando Nava “agisce nell’esclusivo interesse della Commissione”, che infatti lo distacca per soli 3 anni, rendendo evidente che il comando serve “a consentire l’assunzione fuori dall’Ue da parte di funzionari di incarichi di natura diversa da quelli di vertice di un’autorità indipendente”; per questo può comportare “la compromissione del prestigio e dell’immagine dell’Istituto”. Biagianti smentisce anche Nava: “Ritengo sussistere fondati motivi per confermare che la misura del comando adottata dalla Commissione non è riconducibile nel novero di quelle che, come il collocamento fuori ruolo e in aspettativa d’ufficio, escludono la incompatibilità derivante dall’essere dipendente di un ente pubblico”, come è la Commissione. Nava – ricorda Biagianti – quando si è insediato non ha fornito la semplice dichiarazione formale, assumendosene la responsabilità, di non avere causa di incompatibilità. Poi la botta: “Mi corre l’obbligo di segnalare – conclude – che le persone nominate devono comunicare all’organo di governo competente per la designazione (il presidente del Consiglio) e in copia ai presidenti delle Camere, una dichiarazione concernente, tra l’altro, la ‘inesistenza o la cessazione delle situazioni di incompatibilità” e che “la mancanza o la infedeltà delle comunicazioni di cui ai precedenti commi, in qualsiasi momento accertata, importa la decadenza dalla nomina”.

Letto il parere, da Palazzo Chigi e dal Colle sono partiti segnali a Nava con l’invito a mettersi subito in aspettativa. Niente da fare. Mercoledì si è dimesso solo per poter rioccupare il suo posto a Bruxelles alla guida della Divisione mercati finanziari essendo passati meno di 6 mesi dalla nomina. Nel frattempo ha nominato la sua collega di ufficio a Bruxelles, Giulia Bertezzolo, una semplice funzionaria Ue, segretario generale dell’Authority. A differenza sua, la Bertezzolo ha chiesto l’aspettativa, firmando il 3 agosto il contratto prima che venisse autorizzata. Saltato Nava, ha deciso di restare in autorità nonostante il carattere fiduciario della nomina. Una grana per il presidente facente funzioni, Anna Genovese: se volesse riconfermarla dovrà sottoporre la questione al voto dei commissari. Nel caos di questi mesi, sulla scrivania di Nava sono rimaste inevase diverse autorizzazioni a effettuare ispezioni.

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