I furbi del fisco

Autoriciclaggio, la solita “svista”: ora scompare la confisca dei beni

La confisca di beni e profitti per il reato scompare dal decreto di Palazzo Chigi

Di Luciano Cerasa
2 Luglio 2017

Che sia la solita legge scritta con i piedi o, peggio, il frutto di una precisa volontà politica, il governo ha sfornato l’ennesimo mostro giuridico di questa legislatura. A beneficiarne saranno i boss delle organizzazioni criminali che verranno riconosciuti d’ora in poi colpevoli o che patteggeranno per il reato di autoriciclaggio.

È una fattispecie introdotta nella nostra legislazione dal 2015 che punisce le persone, ma sanziona anche gli enti giuridici come società di capitale o Spa, responsabili di aver riciclato i proventi di attività illecite da loro stessi messe in atto: dal traffico di droga al racket della prostituzione, all’estorsione e alla rapina. A essere perseguibile è anche chi commette una frode fiscale e poi investe il frutto dell’evasione in titoli intestati a prestanome o in società di comodo e off-shore.

Secondo la legge vigente è prevista la confisca obbligatoria (diretta o per “equivalente”) dei beni acquisiti con il denaro sporco e anche dei profitti prodotti. O almeno fino al prossimo 4 luglio, quando entrerà in vigore il decreto legislativo 25 maggio 2017 n. 90 che recepisce la direttiva europea sull’antiriciclaggio. Nel testo emanato dal governo e pubblicato nella Gazzetta ufficiale il 19 giugno scorso, l’autoriciclaggio sparisce dai reati per i quali è prevista la confisca, che rimane però paradossalmente per il riciclaggio “semplice”. Qualcuno però nel frattempo si è accorto della svista (o della “manina”) che aveva indirizzato il dispositivo e la segnala a Palazzo Chigi che prova a correre ai ripari quando la frittata di commi e cavilli è già stata fatta e pubblicata. Purtroppo, come si dice in Veneto, il risultato è che l’è peso el tacon del buso.

Il 28 giugno è uscito infatti in Gazzetta ufficiale (serie generale n. 149) un comunicato di rettifica e correzione che “reintegra” il testo del decreto legislativo inserendo le paroline mancanti. Solo che questo strumento può essere utilizzato soltanto in caso di errori formali, materiali o di stampa, ininfluenti sul contenuto normativo degli atti pubblicati, o per una difformità tra il testo di un atto normativo promulgato o emanato dal presidente della Repubblica e quello effettivamente approvato dal Parlamento o dal Consiglio dei ministri. Qui, invece, si inseriscono fattispecie di reato che il testo originario non contempla. Con quali conseguenze giuridiche?

“C’è il rischio che il giudice nel processo, ritenendo la rettifica priva di presupposti e di fondamento, applichi il testo del decreto promulgato quindi senza autoriciclaggio – spiega Daniele Piva, professore di Diritto penale commerciale presso la Facoltà di Economia dell’Università Sapienza di Roma – molti avvocati difensori vi si appelleranno; occorrerebbe un decreto legge ad hoc da far approvare entro martedì o sarà il caos”.

“Siamo di fronte a un fatto molto grave, un errore così grossolano può essere la mera svista di un governo di incompetenti oppure l’ennesimo favore a furbi, evasori e criminali pericolosi – attacca il deputato dei Cinquestelle che ha denunciato la vicenda, Vittorio Ferraresi – in tutti e due i casi creerà dei problemi giurisprudenziali e di impunità enormi per il tempo che passerà fino alla giusta correzione”.

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