Presidente Mattarella, le Sue parole sul riarmo non mi sembrano rassicuranti. Ma io non mi rassegno
di Fiore Isabella
Signor presidente Mattarella,
nei giorni scorsi in una mia personale riflessione sul blog de ilfattoquotidiano.it ho sentito il bisogno di manifestare le mie posizioni critiche sui Parlamentari cattolici (autodefinitisi non preti) sull’utilità delle armi. Lei, col garbo linguistico che connota il Suo stile comunicativo, in occasione della tradizionale cerimonia di scambio degli auguri di fine anno con autorità istituzionali, rappresentanti dei partiti politici e figure della società civile, ha espresso alcuni concetti sul tema degli armamenti, che non mi pare siano particolarmente rassicuranti: “La spesa per dotarsi di efficaci strumenti che garantiscano la difesa collettiva è sempre stata comprensibilmente poco popolare”; “E tuttavia, poche volte come ora, è necessario”; “anche per dare il nostro decisivo contributo alla realizzazione della difesa comune europea”; “Sicurezza nazionale e sicurezza europea sono oggi indivisibili”.
Il minimo comune denominatore di tali concetti è la possibilità, ormai non più remota, di affidare il destino dei nostri figli e dei nostri nipoti alle armi e alla guerra. L’ultimo e unico conflitto, Signor presidente, che ha coinvolto la nostra generazione di settantenni è stata la Guerra fredda e con essa non è finita soltanto l’utopia comunista ma, come scrive Raniero La Valle nel suo bel libro Quel nostro Novecento, “anche il sogno occidentale di una democrazia realizzata, dove la politica moderasse l’economia, il costituzionalismo garantisse i diritti e tenesse entro limiti invalicabili il potere, la giustizia fosse realizzata, e le Repubbliche togliessero gli ostacoli al pieno sviluppo della persona umana”. Tutto revocato, compreso il ripudio della guerra.
Si cominciò infatti con quella del Golfo, si continuò con la guerra in Jugoslavia e con tutte le guerre a pezzi orchestrate dalla regia delle potenze imperiali. Per non parlare dei nostri giorni, in Medio Oriente e in Ucraina, dove si continuano ad ammazzare bambini grazie a quelle armi che Lei chiama “efficaci strumenti che garantiscano la difesa collettiva”. Ma a quale diritto alla difesa collettiva hanno potuto aspirare i bambini di Gaza travolti dalla ferocia dell’esercito d’Israele che continua a perpetuare, anche in questi giorni e a fari spenti, la vendetta sulla Palestina?
Signor Presidente, se dieci partigiani ed ebrei fucilati alle Fosse Ardeatine valevano un soldato tedesco ucciso a via Rasella, utilizzando la stessa aberrante formula aritmetica, un morto israeliano per mano di Hamas vale quasi 60 palestinesi morti a Gaza. E se quella tedesca fu una feroce rappresaglia, quella dell’esercito d’Israele che cos’è?
Signor Presidente, Lei è un uomo di Stato di riconosciuta sensibilità e sa meglio di tutti che viviamo in un mondo complicato in cui la guerra, per come viene raccontata o taciuta, si confonde troppo spesso con la pace. Oggi siamo nel pieno del secondo decennio del nuovo millennio e soprattutto noi, che abbiamo vissuto la vivace e umana parabola della Costituzione, del Concilio Vaticano II e della Contestazione, possiamo dire ai nostri figli il senso che queste cose hanno avuto per noi. Più di questo non possiamo fare! Un’altra cosa, che almeno io non mi sento di fare, è rassegnarmi all’idea che la sicurezza non debba passare dall’investire i nostri soldi per far funzionare gli ospedali per i malati e le scuole per i nostri nipoti, ma ahimè per armarci. Oggi ho 73 anni e non mi preoccupa quanto resta da vivere a me, ma a quelle tre cose che hanno animato fino ad oggi il mio e il nostro vivere, cioè il diritto, la fede e la libertà.
Siamo in clima natalizio e non possiamo non parlare della cosa più carnale che viene dall’Avvento: l’amore; una parola ormai così desueta da essere derubricata nella sfera delle private effusioni o nell’omelia del settimo giorno. E in nulla più!