Quando lavorava come commesso in un negozio di abbigliamento del centro di Roma non immaginava che di lì a poco sarebbe diventato uno dei volti più riconoscibili de Le Iene. “Ho sempre avuto la passione per la moda”, racconta oggi Nicolò De Devitiis a Vanity Fair, ricordando quel periodo fatto di turni, sconti improvvisati e sogni tenuti a bada. È proprio dietro quel bancone che avviene l’incontro che cambia tutto: Paolo Calabresi entra per fare acquisti, lui lo riconosce, gli fa quasi il 50 per cento di sconto e azzarda una richiesta diretta. “Gli ho detto: ho un’idea per Le Iene, come si fa?”. La risposta? “Alle Iene non esistono raccomandazioni”. Però Calabresi gli lascia una mail, quella di Davide Parenti. “Scrivigli e giocatela”.
De Devitiis, 35 anni, romano di Porta Pia, oggi è una “Iena” ma non solo. Da tre anni conduce all’interno del programma di Italia 1 il format 48h con, che lo vede trascorrere due giorni e due notti accanto a personaggi dello spettacolo, dello sport e della musica, da Geolier ad Achille Lauro, da Emma a Bianca Balti, da Bruno Barbieri ad Achille Polonara. Un racconto ravvicinato, spesso intimo, che ha contribuito a offrire al pubblico punti di vista nuovi su artisti già affermati e su altri ancora agli inizi.
Prima, però, c’è stata una lunga normalità, che De Devitiis rivendica senza costruirci sopra un personaggio. Famiglia romana, genitori bancari oggi in pensione, una sorella più piccola di dieci anni, una laurea magistrale in Economia. “Non avevo nessun gancio nel mondo dello spettacolo”, spiega a Vanity Fair. “Ho fatto di tutto: barista, pizzaiolo, cornettaro, animatore turistico. Ho pulito i cessi”. E poi, appunto, il commesso. “Non avrei mai pensato di entrare in questo mondo, dove da fuori sembra che servano sempre conoscenze”.
La mail a Davide Parenti parte il 14 maggio 2014. Nicolò ha 23 anni. È lunghissima, quattro pagine. La risposta arriva con una sola parola: “Incontriamoci”. Sale su un treno e va a Milano, città in cui non era mai stato. “Davide mi accoglie con i piedi sulla scrivania e mi chiede: che sai fare? Io rispondo: niente”. Non è una posa. Non aveva mai fatto intrattenimento televisivo, se si esclude un po’ di teatro nei villaggi turistici in Sardegna. Parenti gli consegna una telecamera e lo rimanda a Roma: “Fammi vedere”. Da lì comincia una gavetta solitaria. Mesi interi passati a girare per strada senza dirlo a nessuno. Il primo servizio riguarda i pericoli dei parcheggi selvaggi per i ciclisti, un tema che gli sta a cuore anche per la sua passione per la bicicletta e per il blog Divanoletto, con cui si era fatto conoscere anni prima. “Da maggio a settembre ho girato ore e ore di materiale. Taglia e cuci infiniti. Facevo anche candid camera: tre ore sulla stessa persona, finché uno non mi mena, un altro mi spacca la bici, un altro mi tira i limoni”. Oggi, ammette, lo farebbe in molto meno tempo. Ma allora era formazione pura. “Davide mi ha detto una cosa che ripeto sempre: questo è un lavoro che non puoi studiare sui libri. Devi respirare l’aria della redazione e stare in mezzo alle persone”.
Dopo oltre dodici anni alle Iene, De Devitiis non si sente arrivato:“Ancora oggi mi sento l’ultima ruota del carro”, dice senza enfasi. “Ogni servizio te lo devi guadagnare. Vai in onda e il giorno dopo è finita, devi ricominciare”. La televisione, per lui, non è qualcosa che resta: “Un film magari rimane negli annali. Un servizio no”. Il lavoro è totalizzante: segue idea, scrittura, riprese – spesso anche con lo smartphone – montaggio e testi. “Dal lunedì alla domenica lavoro e basta, anche alle due di notte. La gente pensa che prendi il microfono e vai. In realtà c’è molta scrittura e moltissime decisioni”. I social, pur con numeri importanti, non sono il suo centro. “Non penso ai social. Il mio unico punto di riferimento dal 2013 è Davide Parenti. È la persona a cui devo tutto”.