Giampaolo Morelli, volto iconico dell’Ispettore Coliandro e regista affermato, ha deciso di aprire le porte della sua vita privata per raccontare una realtà che coinvolge lui e i suoi due figli: la neurodivergenza. In un’intervista rilasciata a Leggo, l’artista napoletano ha analizzato il suo rapporto con la dislessia, non nascondendo le cicatrici emotive che questa condizione, se non riconosciuta, può lasciare nel tempo. Morelli, che ha debuttato nel 1999 con Carlo Vanzina per poi arrivare a dirigere successi come 7 ore per farti innamorare, ha compreso la propria natura solo in età adulta. “La dislessia è parte di me“, spiega a Leggo, sottolineando però come il vero ostacolo sia stato l’ambiente esterno: “Il problema è venuto fuori dalla società, dalla scuola che mi ha messo in un contesto difficile”.
Cresciuto negli anni ’70 e ’80, quando i disturbi specifici dell’apprendimento (DSA) erano pressoché ignoti, l’attore ha scoperto di essere neurodivergente solo dopo i 30 anni. Un ritardo che ha presentato un conto salato a livello psicologico: “Negli anni Settanta e Ottanta i Dsa non erano conosciuti, quindi non potevano essere riconosciuti. Alcune volte penso che forse avrei potuto fare anche di più, non se non avessi avuto la dislessia, ma se fossi stato in un contesto in cui la dislessia veniva riconosciuta. Questo senso di inferiorità mi ha portato anche a una forte depressione. Ne soffro e l’affronto anche con psicofarmaci, perché il senso di inadeguatezza che provi da bambino ti porta a non sentirti mai capace nella vita. Non è che quando ti rendi conto di essere dislessico poi tutto cambia; ormai tu sei formato”.
Insieme alla moglie Gloria Bellicchi (ex Miss Italia 1998 e attrice), Morelli ha scritto il libro Dislessico famigliare. Cronache (s)connesse di una famiglia straordinariamente normale (Sperling & Kupfer). Nel volume viene descritta una quotidianità in cui Gloria è l’unica “neurotipica” in un nucleo di tre persone dislessiche. Bellicchi descrive con ironia la differenza comunicativa tra lei e il resto della famiglia: “Loro ragionano per immagini e quindi si annoiano se parlo in maniera lineare con troppe subordinate. Alzano gli occhi al cielo e mi lasciano sola. Allora chiamo la mia migliore amica, anche lei neurotipica, per una telefonata banale”.
Oggi Morelli distingue con chiarezza tra capacità e ferite emotive: “I miei talenti e le mie qualità, che sono dovuti anche alla dislessia ma non solo a quella, non vengono meno”, afferma. Ma resta il segno di un vissuto difficile: “Devo fare i conti con una parte emotiva ferita, che si sente a volte incapace. Sta in un angolino e ho dovuto fare un percorso lungo per tenerla a bada”. Il discorso si sposta poi sui figli e sul ruolo della scuola. Morelli ricorda che solo nel 2010, con la legge 170, i disturbi specifici dell’apprendimento sono stati riconosciuti formalmente e che dal 2011 esiste il Piano didattico personalizzato. Ma sottolinea quanto il confronto quotidiano resti complesso: “Un consiglio che darei ai genitori dei ragazzi dislessici o neurodivergenti è parlarne molto e spiegare loro che la scuola non è la vita”, afferma. “Anche se durante la crescita è l’unico metro di paragone, bisogna far capire che la partita della vita è lunga e ci saranno tante occasioni”.