Cultura

“Moana – Porno revolution”: al teatro Fontana di Milano un monologo potente su sesso e libertà. Oltre l’ipocrisia di chi lo vuole censurare

Lo spettacolo su Moana Pozzi al Teatro Fontana di Milano fa discutere per la sua potente riflessione su sesso e libertà, oltre ogni ipocrisia

di Gabriele Gelmini
“Moana – Porno revolution”: al teatro Fontana di Milano un monologo potente su sesso e libertà. Oltre l’ipocrisia di chi lo vuole censurare

Uno spettacolo teatrale che fa discutere un intero quartiere, al punto da chiamare le telecamere di un noto programma tv per documentare l’oscenità e chiederne la sospensione. Questo l’effetto provocato da “Moana – Porno Revolution”, monologo dissacrante ed esplosivo in cartellone al teatro Fontana di Isola (Milano) in questi giorni prima delle feste di Natale.

In scena, una sola attrice – una potentissima Irene Serini – che si alterna ad impersonare prima personaggi esterni e incuriositi dal mito di Moana: un uomo ossessionato, una femminista insistente, la storia dei piccoli Anita e Carletto alle prese con le prime scoperte in campo sessuale. Poi, progressivamente, compaiono i personaggi interni alla storia: la migliore amica di Moana ai tempi dell’adolescenza, gli uomini che l’hanno conosciuta, che le hanno scritto per anni e quelli che le sono stati accanto, i vip che ha frequentato e gli ammiratori che l’hanno sempre osannata. In ultimo, la triste storia della sua morte: il rapporto con la madre adorata, il compagno e la questione dell’eredità, e il fratello che dopo la scomparsa di Moana scoprirà invece di esserne il figlio.

A intervallare le varie scene, gli audio con la vera voce di Moana, estrapolati da alcune interviste e comparsate tv, e la proiezione sullo sfondo della scenografia di alcune sue frasi iconiche.

Filo rosso di questa girandola di quadri che si susseguono senza sosta e costruiscono una drammaturgia dinamica, la riflessione sulla centralità del sesso nella vita di ognuno di noi e del rapporto che instauriamo col piacere, col nostro corpo, con il senso di vergogna e di liberazione.

Alla fine dello spettacolo, oltre all’attrice protagonista, sale sul palco anche la regista Marcela Serli, che racconta come la presenza dello spettacolo nel teatro del quartiere abbia smosso le coscienze di alcuni degli abitanti più cattolici e conservatori. Segno del fatto che, nonostante i 17 anni dalla prima messinscena, questo monologo non ha perso la sua vena graffiante. E che quell’Italia provinciale e ipocrita, in fondo, non è poi così cambiata.

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