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“Con un battipanni suonavo Smoke on the water. Da qui vedo Biagio che sogna, col tempo ho vinto io”: Biagio Antonacci si racconta dalla sua Rozzano – VIDEO

Il cantante è tornato nella sua Rozzano e ha raccontato alcuni estratti della sua vita, affacciato dalla torre Telecom, simbolo del comune lombardo

di Redazione FqMagazine
“Con un battipanni suonavo Smoke on the water. Da qui vedo Biagio che sogna, col tempo ho vinto io”: Biagio Antonacci si racconta dalla sua Rozzano – VIDEO

“Forse è come quando stavo in quella cameretta, a Rozzano all’ultimo piano”. Biagio Antonacci torna nella sua città e riavvolge il nastro della memoria. Il cantautore lombardo ha postato un video su Instagram con le immagini dei luoghi che hanno segnato la sua infanzia.

“Con questo battipanni suonavo ‘Smoke on the water‘” rivela Antonacci, che racconta di quando sognava di abbattere il muro che aveva davanti agli occhi e trovare, dall’altra parte, il palasport dove un giorno avrebbe suonato. Una visione leopardiana, quel muro come la siepe del poeta che ha permesso a entrambi di immaginare l’infinito. “Il battipanni diventa una chitarra elettrica” e Biagio confessa di aver sempre guardato dritto davanti a sé, raccogliendo ciò che la vita -da musicista e da persona comune- gli ha donato.

“Il cantiere dove lavoravo a 20 anni”

Nel video pubblicato su Instagram si vede Biagio Antonacci che si affaccia dal balcone e scorge la torre della Telecom. Sempre lì il cantautore vede il cantiere dove lavorava a 20 anni come geometra. L’artista ha sempre avuto le idee chiare sul suo lavoro: “Non voglio fare il geometra, voglio cantare”.

Di giorno lavorava in cantiere, di sera un piano bar. L’eliminazione a Sanremo giovani del 1988 non ha demoralizzato Antonacci che, come racconta nel video, è tornato in cantiere da geometra che aveva fatto un tentativo in un modo non suo (apparentemente).

“Si vince dopo, nel tempo” dice l’artista che dice “oggi mi guardo da questa torre e vedo Biagio che sta cantando, che sta provando col suo battipanni”. Il video termina con un Antonacci, ancora bambino, che si affaccia da quell’universo “che chiamavo muro”.

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