Sono rimasti chiusi per anni, conservati con cura, quasi intoccabili. Una catenina con un ciondolo a forma di dente di squalo, alcuni braccialetti — uno con inciso il nome “Chiara” — l’orologio, una cavigliera. Sono gli oggetti che Chiara Poggi indossava il giorno in cui venne uccisa, il 13 agosto 2007, nella villetta di via Pascoli a Garlasco. Oggi, a diciotto anni di distanza, tornano al centro di una vicenda giudiziaria che non smette di riaprirsi.
A riportarli all’attenzione è Dario Redaelli, criminologo e consulente della famiglia Poggi, nel corso della trasmissione Quarto Grado condotta da Gianluigi Nuzzi su Rete 4. “Sono stati conservati come reliquie – ha spiegato – insieme a tutto ciò che aveva avuto a che fare con quella ragazza quel giorno. Alcuni di questi oggetti non sono mai stati analizzati e ora per noi diventano importanti”. Piccoli dettagli, apparentemente muti, che potrebbero ancora custodire tracce utili a chiarire ciò che accadde in quella casa.
Il ritorno dei reperti personali della 26enne, per si intreccia con l’ennesimo capitolo giudiziario del caso Garlasco, che torna in aula a Pavia. Giovedì 18 dicembre davanti alla giudice per le indagini preliminari di Pavia, Daniela Garlaschelli, verrà discussa la perizia firmata dalla genetista Denise Albani: novanta pagine dedicate al Dna estrapolato da due unghie della vittima e a tutti gli altri reperti analizzati a partire dallo scorso giugno. Secondo le conclusioni, il profilo genetico maschile risulterebbe compatibile con quello di Andrea Sempio, 37 anni, amico del fratello di Chiara e unico indagato nella nuova inchiesta per concorso in omicidio. Su tutti gli altri reperti invece c’è solo il Dna di Alberto Stasi e Chiara Poggi. Sugli acetati delle impronte nessun profilo utile è stato rilevato.
Sempio, che nei giorni scorsi ha incontrato i suoi avvocati a Roma, si dice sollevato dall’arrivo della perizia. “È stato un grosso peso in questi mesi”, ha commentato. In un’intervista televisiva ha parlato di interpretazioni “tirate per i capelli” e ha ribadito di non voler essere interrogato fino alla chiusura delle indagini, su consiglio dei legali. Intanto, sullo sfondo, resta aperta la questione dell’impronta 33, rilevata sulla parete delle scale che conducono al seminterrato della villetta e attribuita dagli inquirenti a Sempio e dalla difesa Stasi sulla base di un’analisi fotografica.