È stato il regista di Harry ti presento Sally e Misery non deve morire, interprete della celebre sit-com Arcibaldo. Quanto era popolare, amato e riconosciuto Rob Reiner negli Stati Uniti non ce lo immaginiamo nemmeno. Il 78enne attore e regista, trovato morto nella sua casa di Los Angeles la scorsa notte assieme alla moglie Michele Singer, è stato un vulcano di comicità, idee, duttilità, in un contesto di trasformazione culturale ed economica come il cinema e la tv americani degli anni settanta/ottanta.
Figlio dell’altrettanto celebre Carl, attore (The Dick Van Dyke show) e regista (Ho perso la testa per un cervello), morto peraltro nel 2020, Rob inizia la sua carriera in piccole parti di telefilm e come sceneggiatore (assieme a Steve Martin) per show della tv. Sfonda clamorosamente il piccolo schermo nel 1971, e fino al 1976, nelle serie più seguita di quei cinque anni negli Stati Uniti: Arcibaldo (All in the family). Reiner interpreta Michael Stivic, il giovanotto hippie e liberal coi baffoni, genero del vecchio operaio bianco irascibile protagonista della sit-com (Carroll O’Connor) che sta sempre seduto sulla poltrona del salotto a criticare la nuova morale progressista uscita dagli anni sessanta.
Reiner però vira prima verso la regia e poi accoppia il lavoro dietro la macchina da presa con quello di produttore (sua la Castle Rock Entertainment nata nel 1987). Il primo spassoso film da lui diretto è This is spinal tap (1984), sorta di primo mockumentary del cinema hollywoodiano, dove letteralmente Reiner improvvisa set scrivendo battute e situazioni in corso d’opera sulla storia di una band rock inglese dei suoi esordi, carriere, bizze, gelosie, seguite proprio da un documentarista. Una parodia di tanti documentari estasiati e agiografici di fine settanta che diventerà negli anni dell’home video titolo di culto.
Nel 1986 il primo vero successo commerciale per Reiner è con Stand by me, il coming of age di un gruppetto da ragazzini tratto da Stephen King (un It meno truculento e più introspettivo) che lancia River Phoenix e che totalizza oltre 50 milioni di dollari al box office su 7 di spesa. L’apice della carriera di regista giunge rapido, fluido, brillante con un duetto di titoli a cinque stelle: Harry ti presento Sally (1989) e Misery non deve morire (1990).
Impossibile amare il cinema e non aver provato qualche istante di romantica dolcezza nella commedia interpretata da Billy Cristal e Meg Ryan o di profondo inquieto terrore nel seguire le gesta violente dell’infermiera Annie Wilkies (Kathy Bates che vince l’Oscar) che tiene in ostaggio lo scrittore Paul Sheldon (immenso James Caan) spaccandogli con un martello le caviglie. Per capire la professionalità e l’equilibrio di Reiner basta far dondolare sequenze e atmosfere di questi due capolavori: ne esce un cinema di straordinario potere di intrattenimento, legato ad un’idea di regia robustissima ma letteralmente invisibile.
Nel 1992 dirigerà anche Codice d’onore un successo spaventoso al botteghino statunitense (240 milioni di dollari a fronte di 40 di spesa) con l’avvocatino della Marina americano Tom Cruise che stanga e sbugiarda il luciferino e omertoso super ufficiale Jack Nicholson.
Uomo di spirito, giocoso e sempre attivo fino a pochi mesi fa, Reiner amava raccontare l’aneddoto di quando fece recitare sua madre sul set di Harry ti presento Sally. Estelle Reiner, una delle più popolari attrici e cantanti dello spettacolo americano del dopoguerra, è la signora che al ristorante ordina alla cameriera “quello che ha preso la signorina”, ovvero Meg Ryan che appena finto un orgasmo davanti ad un attonito e poi imbarazzato Crystal.
“Inizialmente Meg non stava facendo quello che le chiedevo di fare. Allora mi sono messo io al suo posto e mi sono messo a battere i pugni sul tavolo; ero lì che recitavo ‘Sì! Sì! Sì!’, ma dopo qualche istante mi rendo conto che stavo avendo un orgasmo davanti a mia madre. C’era mia madre laggiù che mi guardava come poi guarderà Meg nel film. Capite cosa ha significato per me?”.