Se il cinema, come l’abbiamo inteso nel Novecento, sta morendo allora Marty Supreme è l’ultima scarica di adrenalina possibile per farlo rimanere in vita. Il film di Josh Safdie, presentato come titolo sorpresa in anteprima europea all’ultimo Torino Film Festival, è il ritratto finto biografico di Marty Mauser (Timothée Chalamet), un giovane imbroglione incallito, traditore e maldestro sciupafemmine, sopraffino venditore di scarpe e talentuoso del ping pong che attraversa gli anni Cinquanta tra il Lower East Side ebraico di New York, hotel di lusso a Londra e un match clou in quel di Tokyo, al ritmo di musica elettronica anni Ottanta (Daniel Lopatin). Mauser è ispirato alla figura realmente esistita di Marty Reisman, reale campione del tennistavolo, a cui Safdie e lo sceneggiatore Ronald Bronstein appiccicano addosso un’odissea irta di ostacoli per impedire a Marty di esprimersi al meglio nei mondiali di ping pong, dove potrebbe arrivare in finale contro il freddo giocatore giapponese Koto Endo (mai esistito nemmeno lui) dopo essere arrivato secondo ai mondiali inglesi.
L’apparente cortocircuito drammaturgico di Marty Supreme funziona fortunatamente a meraviglia. A partire dal devoto rispetto, alle scosse e ai rimandi per il cinema hollywoodiano anni Ottanta – lo spermatozoo di Senti chi parla! che va a segno, il mondo suburra alla Rocky – che lancia Marty nella corsia parallela a quella delle alte celebrità, quella dove finge una propria grandeur personale quando invece abita con mamma in una bettola, dove va frettolosamente a letto con l’arzilla ricca ex star del cinema ora inetta attrice teatrale (Gwyneth Paltrow) e dove viene sculacciato (a proposito: il sedere nudo è quello di Chalamet o c’è l’AI?) dal di lei ricchissimo marito e squalo dell’industria mondiale (Kevin O’Leary, vero imprenditore canadese senza scrupoli), l’unico che può portarlo a disputare i campionati internazionali in Giappone facendosi però umiliare agli occhi del mondo.
L’epica sportiva in Marty Supreme è una falsa pista evocativa, laddove vige invece l’epopea dell’incompreso ma ardimentoso inesauribile outsider. Nessuno dà credito, interesse, fiducia a Marty per le sue qualità sportive (“il ping pong è sport?”): nemmeno mamma (Fran Drescher, in originale per sentirne la roca voce, please) che invece gli racconta un sacco di bugie per non farlo scappare da casa; lo zio scarparo che lo fa quasi arrestare perché si è fatto anticipare 70 dollari; la ragazza vicina di casa messa incinta che probabilmente è più bugiarda di lui e di sua madre messi insieme.
I caratteri di Marty e della sua crew scoppiettano ironici, ipertesi, scalpitanti, compreso quello dell’ex campione di ping pong Bela Klezki (Geza Rohrig, protagonista di Il figlio di Saul) scampato ai campi di concentramento, compagno di tournée con Marty per campare con show patetici su mini tavolini con pallina e foche in mezzo alle esibizioni degli Harlem Globetrotters.
Il ritmo invasato che Josh Safdie impone per almeno un’ora e trenta è debitore della rincorsa “tutto va a rotoli” alla Fuori orario, ma mantiene comunque una sua sontuosa plastica originalità. Con questo taglio della fronte nei primi piani alla Sergio Leone, condito da un’irrefrenabile contiguità nei campi e controcampi di dialogo fitto, dove un’inquadratura vive già dentro quella successiva con un overlapping di battute e sguardi.
C’è poi un lavoro cromatico-ambientale-scenografico di rara verosimiglianza: un impasto grumoso, dagli angoli e sfondi bui e dagli annessi spazi tavolo (nei bassifondi di NY come nelle gare internazionali) illuminati vicinissimi e dall’alto da lampade e lampadari d’epoca.
Tutto è falso in Marty Supreme e tutto sembra allo stesso tempo credibilissimo. Proprio come quel Chalamet dagli occhialetti tondi, baffetti appena accennati con la matita, capelli a fungo, secco secco, una specie di saettante ago in punta di piedi a bordo tavolo, metronomo inesausto delle proprie vicende rocambolesche. Una prova maiuscola, ironica, travolgente, di certo non simpatica e ammiccante, sempre un tantino fastidiosa, ma assolutamente di classe cristallina. Non solo osservatelo quando cerca la rivincita dimenandosi davanti a Endo, ma soprattutto quando fa gli occhietti spiritati e offesi di fronte alle bugie dell’amata messa incinta: vorreste prenderlo a schiaffi e allo stesso tempo sperare che se la cavi, che vinca, che esca dall’effetto domino della sfiga.
Grazie a Marty Supreme impariamo infine che Josh Safdie è quello tra i fratelli Safdie (l’altro è Benny) che sa filmare. Il profumo di Oscar è dietro l’angolo. Distribuisce in Italia I Wonder dal 22 gennaio 2026.