Ti ricordi… Dan Corneliusson, il ragazzo venuto dal freddo che a Como ha lasciato gol, silenzi e sorrisi
Zero. Tanti erano i gol che i tifosi del Como avevano visto al Sinigallia fino ad allora. Un allora che porta la data del 24 novembre di 40 anni fa, col campionato di Serie A già all’undicesima giornata.Per la verità già l’anno prima il gol era stato un problema per i lariani nel massimo campionato: ne erano arrivati 17 in 30 partite e il capocannoniere era stato Morbiducci con soli tre gol, ma la squadra guidata da Ottavio Bianchi ne aveva beccati solo 27, roba da vetta della classifica e si era salvata senza grossi problemi. Quell’anno però, con mister Roberto Clagluna alla guida, era partito male: solo tre pareggi e una vittoria in dieci giornate, nessun gol in casa.
Il pubblico esplode, perciò, quando contro la Sampdoria arriva dopo pochi minuti un lancio lungo che scavalca la difesa, con l’attaccante che lascia rimbalzare il pallone e spara un bel sinistro potente e preciso all’angolino. È Dan Corneliusson, svedese, arrivato l’anno prima a Como. Figlio di un pescatore, aveva trascorso l’infanzia sull’isolotto di Hönö, giocando a pallacanestro e a calcio: si fa notare però in quest’ultimo sport, guadagnandosi l’ingresso nelle giovanili del Göteborg.
Per restarci deve trasferirsi in città, da solo, e studiare: lui va a scuola con profitto e si distingue negli allenamenti, guadagnandosi l’esordio e il passaggio in prima squadra. Poche distrazioni, al massimo qualche vacanza estiva: una in particolare a dieci anni, in campeggio, a Como, come ha ricordato anche in un’intervista a La Provincia di Como. In poco tempo diventa titolare sotto la guida di Sven Goran Eriksson e nel 1982, giovanissimo, si guadagna l’accesso alla finale di Coppa Uefa, timbrando tre gol nella manifestazione. L’andata della finale in Svezia era finita 1 a 0, l’Amburgo credeva nella rimonta in Germania, ma è proprio Dan in apertura di primo tempo a far capire che le cose sarebbero andate diversamente, aprendo le danze con un bel gol di sinistro al volo.
Passa allo Stoccarda dove vince il titolo, poi lo vorrebbe il Torino, ma preferisce Hernandez: nel 1984 è il Como ad accaparrarselo per un miliardo e mezzo di lire. Il primo anno Dan Corneliusson mette a segno solo due gol, anche se si fa apprezzare dal pubblico per generosità, guadagnandosi la riconferma per la stagione successiva. Accanto a lui il giovane Stefano Borgonovo, ad ispirarli il brasiliano Dirceu: la partenza non è col botto, come detto, ma con l’arrivo di Rino Marchesi viene invertita la rotta. Il Como ritrova fiducia, gioco e soprattutto gol. È meno frenetico rispetto al talentuoso Borgonovo, più lineare, più “classico”: si allarga, tiene la palla, apre corridoi. Comincia a segnare con maggiore continuità, ma soprattutto fa giocare bene gli altri. Marchesi se ne innamora subito: lo ritiene uno di quei calciatori silenziosi che rendono armoniosa una squadra, senza pretendere titoli sui giornali.
In quelle stagioni Corneliusson scopre davvero l’Italia. Vive Como con discrezione: ama camminare sul lungolago la mattina presto, quando la città deve ancora svegliarsi, e spesso si sofferma a guardare i pescatori, come suo padre sull’isola di Hönö. Ogni tanto riceve visite dalla famiglia svedese, sorpresa dalla quantità di tifosi che lo fermano per strada. A lui, che veniva da un’infanzia semplice, fatta di barche, vento freddo e campetti polverosi, sembra quasi irreale ritrovarsi in una piccola città che però vive il calcio con una passione da metropoli.
In campo Dirceu illumina, Borgonovo entusiasma, e Corneliusson mette insieme movimenti, sacrificio e una serie di gol pesanti. Memorabile quello alla Juventus in Coppa Italia, in una serata gelida, con il Sinigallia coperto da una neve sottile. Un sinistro improvviso, potente, che sbuca dal nulla e finisce all’angolino: è uno dei lampi che i tifosi ricordano ancora oggi, uno di quei momenti in cui sembra che tutto, per un attimo, giri dalla parte giusta. Un gol che permette ai lariani di superare il turno e di sognare la finale, ma nella gara contro la Samp ai supplementari un oggetto colpisce l’arbitro e al Como viene assegnata la sconfitta a tavolino.
A Como Dan Corneliusson rimane cinque stagioni, diventando un punto fermo non solo della squadra ma anche dell’ambiente. Si fa voler bene per il modo educato di stare in gruppo, per la timidezza mai scambiata per distacco, per quella puntuale disponibilità a fermarsi con i più piccoli fuori dagli allenamenti. In campo è un lavoratore, un attaccante di raccordo come oggi se ne vedono pochi, capace di dare equilibrio e profondità. Non è un goleador puro, ma è uno di quelli che “ci sono sempre”: nelle partite sporche, quando servono le spalle larghe e il carattere, è il primo ad alzare la testa.
Col tempo impara anche l’italiano, che parla con un accento dolce e cantilenante, soprattutto impara ad amare un certo modo di vivere: lento, affacciato sull’acqua, fatto di saluti, di piazze, di visi conosciuti. Racconta spesso che Como è stata la sua seconda casa, più ancora di Stoccarda. E non è un caso che torni periodicamente, ogni volta accolto come un amico che si era soltanto allontanato per un po’.
Dopo Como ci saranno altre avventure, altre maglie, in particolare Wettingen e Malmo. Ma il ricordo più pieno è quello di un ragazzo svedese arrivato dal freddo con una valigia leggera e un sinistro educato, capace di trovare un posto nel cuore di una città che ancora oggi ne custodisce i gol, i sorrisi e la gentilezza. E allora il cerchio si chiude. Quel bambino che a dieci anni passò un’estate in campeggio sul lago senza immaginare nulla del suo futuro, finì per tornarci da uomo e da calciatore affermato, regalando ai comaschi emozioni che il tempo non ha scolorito.