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Perché le parole di Nordio sulla separazione delle carriere rischiano di fargli perdere il referendum

Il ministro della Giustizia richiama il piano P2 per la separazione delle carriere, rischiando di danneggiare il referendum
Perché le parole di Nordio sulla separazione delle carriere rischiano di fargli perdere il referendum
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Credo che Giorgia Meloni, quando legge o ascolta le dichiarazioni del ministro della giustizia Carlo Nordio, conti fino a dieci prima di parlare o urlare. Premetto che non si può parlare di meraviglia rispetto a quello che dice Nordio, perché chi lo ha conosciuto come pubblico ministero lo ricorda più per gli editoriali, allineati e serventi, che scriveva per conto del giornale di proprietà di Silvio Berlusconi che per le sue, deludenti, capacità investigative e professionali.

Personaggio però ideale per scalare una carriera di vertice nel centro-destra: magistrato senza infamia e senza lode, non intruppato nel sistema delle correnti togate, in linea con il pensiero politico del quale è stato sempre portavoce anche quando era magistrato. La negazione dell’imparzialità fatta toga, si potrebbe dire. L’uomo per carità ha anche un garbo, per certi versi uno stile non becero, poi bisogna sempre dosare l’orario in cui esterna.

Le ultime due dichiarazioni sono però significative perché possono profondamente danneggiare il buon esito della campagna referendaria per i sostenitori del sì e della maggioranza politica che governa. Qualche giorno fa il ministro Nordio ha dichiarato che non comprende come mai i vertici del Partito democratico, il principale gruppo di opposizione parlamentare, non comprendano la bontà della riforma della separazione delle carriere dal momento che quando si troveranno loro a governare potranno beneficiare della riforma e non avere quindi il fiato sul collo dei pubblici ministeri.

Si tratta di una manifesta confessione di Nordio e degli intenti del governo e della sua maggioranza di voler porre il pubblico ministero sotto il controllo del potere esecutivo.

La seconda dichiarazione, sorprendente solo per chi non conosce Nordio, è di qualche ora fa, quando ha detto che anche Licio Gelli diceva cose giuste e che quindi sulla separazione delle carriere, tanto cara al maestro venerabile, va seguito. Ricordiamo che Gelli è stato il capo della loggia occulta P2 il cui programma, nel quale era prevista la separazione delle carriere tra pm e giudici, è stato considerato dalla commissione parlamentare sulla P2 e dalla magistratura un piano eversivo dell’ordine costituzionale.

Ricordiamo anche che nelle motivazioni della Corte di Cassazione sulla strage di Bologna, avvenuta il 2 agosto 1980, con 85 morti e oltre 200 feriti, la più grave dal dopoguerra in Italia, si legge che la bomba fu messa dai neofascisti, con un ruolo infedele di esponenti dei servizi segreti e il sostegno finanziario di Licio Gelli.

Insomma, che il ministro della Giustizia di oggi dica che Gelli sosteneva cose giuste riferendosi ad un piano eversivo della Costituzione e dello Stato dovrebbe quanto meno dimettersi e forse farebbe un piacere anche a Meloni e ai sostenitori del sì in buona fede, che con Nordio alla guida del dicastero della Giustizia avrebbero buone possibilità in più per perdere il referendum.

Da ultimo, ma non per ultimo, un consiglio non richiesto per chi come me, sin dall’università e poi da magistrato, ha avuto sempre Giovanni Falcone e Paolo Borsellino come fari e maestri. Sarebbe cosa buona e giusta smetterla di tirarli per la giacchetta da morti, da una parte e dall’altra, sia da parte dei sostenitori del sì alla riforma che da quelli del no, su come la pensavano Falcone e Borsellino sulla separazione delle carriere e sul Csm.

Davvero sgradevole e non corretto prendere pezzi delle loro frasi e del loro pensiero, magari anche ricostruiti in modo sbagliato, e decontestualizzarli. In vita, ricordiamolo, sono stati avversati da tantissimi politici e magistrati, da morti proviamo tutti a preservare fedelmente la loro integrità morale e professionale.

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