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Abbiamo visto i Turnstile all’Alcatraz di Milano e abbiamo un paio di cose da raccontarvi sul loro punk hardcore

L'andazzo della serata è chiaro sin dalla prima canzone "Never Enough": chiavi di casa ben salde in tasca e poi quello che succede succede, tra poghi, urla, abbracci, spintonate e tanto tanto sudore

di Andrea Florenzano
Abbiamo visto i Turnstile all’Alcatraz di Milano e abbiamo un paio di cose da raccontarvi sul loro punk hardcore

I Turnstile si sono riappropriati del punk hardcore americano nella sua versione più popolare. Per comprendere l’ascesa di questa band è bastato assistere all’energia senza senso della loro performance live. Ieri sera all’Alcatraz di Milano, per l’unica data italiana del Never Enough Tour, i ragazzi di Baltimore hanno dato prova che nel 2025 esistono (ancora) migliaia di ragazzi che pogano dalla prima all’ultima nota. Senza soluzione di continuità. Nel punto più alto della loro carriera, solo pochi giorni fa hanno ricevuto cinque nomination ai Grammy Awards (come Best Rock Album, Besto Rock Song, Best Rock Performance, Best Alternative Music Performance e Best Metal Performance), i Turnstile non si snaturano di una virgola.

Delle loro ultime apparizioni in Italia, quella al circolo Magnolia e all’Ama Festival nel 2023, si era parlato (anche tra gli stessi fan in platea all’Alcatraz) di un suono ancora non ben definito. “La sensazione generale è che siano migliorati tanto“, si sente dire all’uscita in Via Valtellina e di certo anche alla Recording Academy se ne sono accorti. Quell’esigenza comunicativa cruda e diretta, tipica del genere, con pochissime note soft tra il dream pop e il funky (in pezzi come Light Design o Seein Stars), arriva tutta in un muro di suono che testa continuamente la tenuta dei timpani. Le influenze si notano eccome dal momento che lo stile dei Turnstile sta un po’ in mezzo alle correnti del nu-metal, punk hardcore (con cenni di ska, crossover rap) tra East e West Coast. Per le parti soliste di chitarra, Pat McCrory ricorda alcune influenze del leader e chitarrista dei Sublime Bradley Nowell, mentre per la sezione ritmica si sentono i Limp Bizkit e NOFX, ma andando ancora più indietro si può arrivare al proto-punk dei Germs.

In loro rivivono gli animi dell’hardcore statunitense un po’ cazzone, un po’ deep (leggermente emo a tratti), che ritrova nel leader Brendan Yates la sua messa a fuoco definitiva. Va detto che però, uno show del genere, senza un batterista così non ha neanche senso di esistere. Si tratta di Daniel Fang. Lui, come Travis Barker dei Blink182 a cui si ispira, rifiuta la doppia cassa proprio per regalare un suono sempre più crudo che tecnico, nonostante il coefficiente sia alto. In alcuni passaggi sembrerebbe quasi d’obbligo scarrellare su un doppio kick, ma a Fang, MVP totale della serata all’Alcatraz, non interessa. È comunque in grado di regalare una performance ipnotica e solidissima.

L’altra componente fondamentale per un live di questo tipo è il pubblico. C’era chi ricordava i tempi dell’esibizione di due anni fa al Magnolia parlando di ‘pochi poghi’. Le aspettative, a questo giro erano ben altre, dato che ormai da un mese girano sui social i video del loro tour europeo. “Chissà se su Birds riusciamo a salire sul palco”, classici dubbi pre concerto su scaletta e momenti topici previsti. Subito però i dubbi vengono spazzati. La band apre con Never Enough, il singolo candidato ai Grammy come “best rock song”, ed è già chiaro l’andazzo della serata. Chiavi di casa ben salde in tasca e poi quello che succede succede. C’è chi fa stage diving e chi a ogni pogo avanza per arrivare più vicino ai ragazzi di Baltimora. È uno di quei concerti in cui la pausa birra va scelta con arguzia. Bar si fa per dire, è la solita cassa appiccicosa con i soliti campioni mondiali di saltalafila, in ogni caso ci devi andare quando pensi che ci sia il momento conscious. Proprio quando pensi che non potranno reggere tutta la serata così.

Forse il limite (per adesso) di questa band è che manca nel loro repertorio la ballatona emo che piace tanto a questo tipo di pubblico. Una volta presa la birra c’è da scolarsela in fretta, perché i Turnstile di spegnere l’entusiasmo del pogo non ne hanno voglia. Alla fine con Birds, sì, l’invasione di campo è andata a buon fine. Appena finito il concerto si continua a disquisire in modo quasi scientifico sugli stili di pogo prescelti su questa o quella canzone, che poi alla fine il tutto è stato un mix creativo tra urla, abbracci, spintonate e tanto tanto sudore.

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