Quello dei giorni scorsi a Casa Verdi, dove riposano i vecchi artisti e cantanti milanesi, non è stato un vero e proprio concerto ma una singolare visita guidata nelle storie dell’album “Canzoni a manovella”, il quinto disco di Vinicio Capossela pubblicato venticinque anni fa. Ad accompagnare gli anziani ospiti in questo viaggio è stato lo stesso cantautore che ha desiderato omaggiare Giuseppe Verdì sepolto proprio lì in piazza Michelangelo Buonarroti, trascorrendo un pomeriggio con persone che come lui hanno dedicato la vita alla musica.
Nessun palco, nessun presentatore, nessuna scaletta ben definita ma un inedito Capossela a far da traghettatore tra ricordi d’un tempo e note de “I pianoforti di Lubecca” o di “Nella pioggia”. A dire il vero quello è l’album della più nota “Con una rosa” e di “Marajà” di cui si è solo parlato (purtroppo) senza far ascoltare agli ospiti la bellezza della musica. Capossela ha voluto accanto a sé la giornalista e critica musicale Laura Rizzo, il compositore e arrangiatore Tommaso Vittorini, il disillusionista Jacopo Leone, il reggente patastrofico Giovanni Ricciardi e il patafisico Marco Maiocchi. E proprio quest’ultimi hanno voluto attribuire al cantautore la nomina di “patafisico” per la sua capacità di immaginare strumenti, tonalità, di suscitare soluzioni musicali immaginarie.
D’altro canto “Canzoni a manovella” è un lavoro ricco e sorprendente, popolato di arie e filastrocche, di marce, marcette e rebetici, di ninna nanne, di canti di mariachi tzigani, di molteplici storie ricche di rimandi letterari ma altrettanto ancorate nella Storia, suonate con una varietà straordinaria di strumenti. Dentro l’album c’è un po’ tutto il secolo appena concluso: il Novecento, a partire dai suoi sfolgoranti inizi fatti di aerostati, prototipi, pionieri dell’aviazione, futuristi e rumoristi, rulli di Edison e rulli chiodati per pianole meccaniche, patafisici, palombari, guerre e cannoni.
A raccontare i retroscena delle canzoni ci ha pensato Vittorini svelandoci che l’album è nato dopo una settimana nel “pensatoio” di casa Capossela: “La canzone Con una rosa – ha detto l’arrangiatore – doveva richiamare un’atmosfera alla Claudio Villa in un giorno di domenica mentre per suonare “Decervellamento” abbiamo adoperato dei tubi di ferro abbandonati in sala registrazione”. Dall’altro canto per Vinicio “ascoltare la musica su Spotify ci priva dell’immaginario, perché ogni opera ha una casa, un vestito, una materia che lì non vedi”. Un pomeriggio un po’ amarcord dove sono ricomparsi i carillon e i fax che Capossela usava per comunicare con il suo staff ai tempi della nascita dell’album: “Con il Novecento abbiamo perso un mondo di oggetti che si è dissolto in quest’ultimi venticinque anni”.