“In Australia quando mi è arrivato il primo stipendio ero incredulo. Qui la parola d’ordine è: no stress”
“Mi mancano l’Italia, Roma e la mia famiglia. Odio dover vivere così lontano e odio dover parlare con la mia famiglia qualche minuto al giorno da uno schermo digitale”. Quando ha lasciato il suo Paese, Adriano non aveva lavoro, ma solo tanta rabbia e la determinazione di poter cambiare il proprio futuro. In Italia si è scontrato con stipendi insignificanti, nessun riconoscimento né tanto meno valorizzazione delle competenze. Oggi, dopo due anni, risponde durante la sua pausa pranzo a Karratha, città dell’Australia occidentale. “Mi auguro di poter tornare – spiega – ma non sono pronto a scendere a compromessi”.
Adriano Candelori, originario di Roma, ha 24 anni. Lavora da quando aveva 18 anni, prima come operatore nei musei comunali della capitale, poi come coordinatore e gestore organizzativo nell’ambito degli eventi di lusso: nel mezzo un’esperienza da tirocinante in un hotel. “Tra promesse mancate e stipendi irrisori, mi sono sentito dire troppe volte ‘sei bravo ma sei ancora giovane’. Una frase che mi è risuonata in testa per molto tempo. Non capivo perché la mia età fosse più rilevante delle mie capacità”, ricorda.
Eppure dopo la laurea Adriano si è dato del tempo per capire. “Mi sentivo ripetere che gli ingredienti per il successo sul lavoro erano due: competenze e soprattutto un buon inglese – racconta al fatto.it –. Ho seguito alla lettera entrambe le istruzioni, aggiungendo lo spagnolo e il francese, che parlo fluentemente”. “Ero soddisfatto – continua –, i sacrifici della mia famiglia sembravano dar frutto”. In realtà, trascorsi 18 mesi, le speranze “si sono infrante”. In Italia la sproporzione tra salari e costo della vita era (e rimane) “evidente” e quel futuro post-laurea fatto di indipendenza e autosufficienza “che avevo sempre immaginato restava un miraggio”.
Arriva in Australia a maggio 2023: due giorni dopo l’invio del curriculum online Adriano riceve una chiamata, supera il colloquio e firma il contratto di assunzione in una multinazionale. Lavora otto ore al giorno, dal lunedì al venerdì: un impiego manuale, completamente diverso dal settore dell’accoglienza. “In soli quattro mesi ho comprato la mia prima macchina – ricorda –. Pago l’affitto, le bollette, faccio la spesa e vado in palestra. Insomma, sono autonomo al 100%”. Tutto questo non ha comportato rinunce, ed è questa la vera differenza rispetto all’Italia. “Ho potuto divertirmi e fare esperienze incredibili, senza ansie da portafoglio. Ho fatto viaggi, gite in barca, mi sono concesso una vacanza di 15 giorni in Thailandia”. “Riuscite a immaginare un 24enne italiano che dopo soli sei mesi di lavoro può permettersi tutto questo? Sono sicuro che se fossi rimasto in Italia avrei dovuto fare più rinunce”. Il costo della vita non è alto come molti credono. Un esempio pratico: un filone di pane “costa mediamente 4dollari (circa 2 euro e mezzo)”, l’affitto di una camera “può oscillare tra 350 dollari (217 euro) e 600 dollari (372 euro) a settimana” e il costo medio della benzina “è 1,80$/l (1,12€)”. Considerando la vastità del Paese ovviamente possono essere riscontrate alcune differenze tra città, ma la proporzione salario-costo della vita “resta più svantaggiosa in Italia”.
Oggi Adriano lavora come assistente chimico, in un settore che gli era sconosciuto. La giornata inizia alle 6.30. In 13 minuti di auto è sul posto di lavoro. Alle 8 in punto c’è il ritrovo con tutti gli altri impiegati per il briefing. “La prima domanda che viene fatta dal manager riguarda eventuali criticità del giorno precedente”. Poi avviene l’assegnazione dei compiti. “Grazie alla formazione ricevuta e ai dispositivi di sicurezza svolgo la mia mansione con facilità”. L’azienda lo ha formato con pazienza, senza pressioni. Il salario è “incredibile”: appena ricevuto lo stipendio “ho passato una settimana a darmi pizzicotti per capire se fosse reale”, sorride. Finalmente, insomma, Adriano vive “come un adulto”, gli stipendi sono “il doppio o il triplo” rispetto a quelli italiani e si riesce a mettere da parte un bel gruzzoletto a fine mese. Ma la differenza vera è l’ambiente lavorativo: “La parola d’ordine è no stress, sei visto come una risorsa e non come uno strumento. Se sbagli ti aiutano e se fai bene ti ringraziano e ti premiano”.
Alle 18, ogni giorno, c’è la videochiamata con mamma e papà: “Ho la fortuna di avere una famiglia che mi ha sempre supportato, in ogni mia scelta, consapevoli delle poche opportunità che l’Italia avrebbe offerto. “Mamma, papà, sto bene” li rassicura Adriano ogni volta, ed effettivamente si accorge di star bene davvero. Tra gli italiani con cui ha stretto amicizia l’idea di tornare balena nella testa di pochi, spinti solo dalla mancanza della famiglia.
Per uno come lui, che non si è mai pentito della scelta, il rimpianto è semmai quello di non esser partito prima. “A 24 anni, grazie all’Australia, ho raggiunto l’indipendenza e la libertà. Posso fare ciò che voglio senza dover rinunciare a nulla, e questa per me è una vittoria enorme”. Gli piacerebbe tornare, un giorno, ma non è disposto a scendere a compromessi: “Se devo scegliere tra vivere e sopravvivere preferisco vivere, seppur lontano”, risponde. All’Italia Adriano chiede riconoscenza: “Dietro un giovane laureato c’è fatica, ci sono ansie, ci sono pianti, ci sono rinunce e spesso c’è una famiglia che ha sostenuto un percorso finanziariamente dispendioso. Questo sforzo merita di essere ricompensato sia moralmente che economicamente”. “La mia generazione – conclude – è circondata da una negatività giustificata, non c’è visione rosea del futuro. Mi auguro che un giorno l’Italia diventi un Paese capace di trattenere i suoi giovani, di farli crescere e valorizzarli. Che partire sia una scelta di vita o di vacanza, non una necessità. Come lo è stato per me”.
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