Cuffaro torna sotto inchiesta 10 anni dopo la scarcerazione. Politica, sanità e relazioni pericolose: le 7 vite di Vasa Vasa
In Sicilia esiste un proverbio che a volte può diventare condotta di vita: calati juncu ca passa la china. Vuol dire che quando c’è vento forte il giunco si deve piegare, altrimenti rischia di spezzarsi: quando la piena sarà passata, potrà di nuovo raddrizzarsi nella sua posizione originaria. La china per Totò Cuffaro era passata il 13 dicembre del 2015, Santa Lucia: quel giorno aveva salutato i suoi compagni di cella per l’ultima volta con una vasata, il suo iconico doppio bacio sulle guance, ed era uscito da Rebibbia. Era stato condannato a sette anni, ne aveva passati quasi cinque in carcere, ma finalmente aveva riconquistato la libertà. Capelli in ordine, silhoutte invidiabile, maglioncino blu sopra una camicia a righe, l’ex potentissimo governatore della Sicilia aveva fatto una promessa a cronisti e curiosi: “La politica è un ricordo bellissimo che non farà parte della mia nuova vita”. Dieci anni dopo, il tempo sembra essere tornato indietro di venti: Cuffaro è di nuovo in gran forma, il Vasa Vasa dei vecchi tempi, ed è tornato a essere il ras incontrastato della politica in Sicilia. Ma è pure finito di nuovo sotto inchiesta. Questa volta non si parla di mafia, la più tossica di tutte le accuse, ma di turbativa d’asta e corruzione. La procura di Palermo ha chiesto l’arresto dell’ex presidente, accusato di far parte di un sistema che pilota gli appalti nel mondo della sanità. Un deja-vu, solo uno dei tanti di questa storia.
La mafia è bianca: ascesa e caduta
Già venticinque anni fa, all’epoca della prima clamorosa elezione alla guida della Sicilia, Cuffaro aveva coltivato il suo consenso nei corridoi degli ospedali, tra i reparti fatiscenti delle strutture pubbliche e le ricche convenzioni concesse a quelle private. “I camici sono bianchi, le cliniche sono bianche, i colletti sono bianchi: se anche la mafia è bianca come faccio a vederla?”, si chiedeva una fortunata inchiesta televisiva (La mafia è bianca) che nel 2005 raccontava il legame perverso tra il mondo della sanità siciliana e quello di Cosa Nostra. Un fitta tela di relazioni che dal vertice della Regione si dipanava verso tutta una serie di medici con la passione per la politica, passava attraverso investigatori infedeli, talpe in procura che fornivano notizie riservate sulle indagini, e arrivava fino a Michele Aiello, ricchissimo prestanome di Bernardo Provenzano, all’epoca inafferrabile capo di Cosa Nostra. “La mafia fa schifo”, sosteneva Cuffaro, nei giorni in cui veniva immortalato con un vassoio di cannoli in mano. Una foto che sembrava quasi un’esultanza, poco dopo la condanna di primo grado a cinque anni, ma solo per favoreggiamento semplice. I giudici, in realtà, avevano sottolineato come le identità di “altre talpe” fossero “rimaste ignote per la complice omertà di Cuffaro”. Un passaggio mai chiarito, neanche quando in Appello era scattata l’aggravante mafiosa. Ma che nel 2023 non ha impedito all’ex presidente d’incassare la riabilitazione con tanto di estinzione dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici. Anche se ha sempre negato di volerlo fare, Cuffaro potrebbe ricandidarsi governatore. O magari provare a rientrare in Parlamento, come aveva fatto dopo le dimissioni da Palazzo d’Orleans.
Il ritorno di Vasa Vasa
Vent’anni dopo non si parla di mafia nell’inchiesta coordinata da Maurizio de Lucia, capo dell’ufficio inquirente palermitano e all’epoca tra i pm del processo sulle talpe in procura. Ma tra punti di contatto col passato c’è anche la faccia Saverio Romano, già ministro dell’Agricoltura nell’ultimo governo di Silvio Berlusconi, storico pupillo di Cuffaro sin dai tempi dei giovani della Democrazia Cristiana e poi dell’Udc. Passato indenne da alcune inchieste per corruzione, assolto dall’accusa di concorso esterno alla mafia, anche per lui la procura ha emesso una richiesta di arresto: spetterà al gip decidere se chiederne o meno l’autorizzazione a procedere. Romano, infatti, è ancora oggi parlamentare, deputato di Noi Moderati. Seguire Maurizio Lupi lo ha allontanto da Vasa Vasa, che dopo una parentesi “umanitaria” in Burundi, ha tradito la promessa fatta il giorno della scarcerazione. Altro che basta politica, oggi Cuffaro è il leader di un partito diventato rapidamente l’ago della bilancia per il centrodestra di Renato Schifani all’Assemblea regionale siciliana. Lanciato in sordina sui social durante la pandemia, si chiama Nuova Democrazia Cristiana: certi amori non finiscono, fanno dei giri immensi e poi ritornano.
Partito nuovo, consenso vecchio
L’inchiesta della procura di Palermo coinvolge più di un esponente della Dc. Il nuovo partito di Cuffaro si nutre dello stesso consenso di quello vecchio: Il segretario siciliano del nuovo Scudocrociato è Stefano Cirillo, ex presidente della fondazione Giglio, che gestisce l’ospedale di Cefalù, dove in tanti hanno sostenuto la Dc alle regionali di tre anni fa. Oggi a guidare la fondazione, che colleziona convenzioni con ospedali pubblici bisognosi di medici, è Giovanni Albano, fratello di Nuccia, voluta da Cuffaro al vertice dell’assessorato regionale alla Famiglia. Sia Cirillo che i fratelli Albano sono estranei all’indagine, mentre coinvolto nell’inchiesta è Vito Raso, capo della segreteria particolare dell’assessora. Prima donna medico legale sull’isola, Nuccia Albano ha condotto anche l’autopsia di Giovanni Falcone e Libero Grassi. È la figlia di Domenico Albano, considerato il boss di Borgetto, uno dei protettori del bandito Salvatore Giuliano. “Non rinnego la storia di mio padre, ero una bambina e di questi fatti sono venuta a conoscenza solo da grande”, spiegava alle telecamere di Report, che aveva svelato l’ingombrante legame familiare, sfuggito praticamente a tutti sull’isola. Si erano scatenate roventi polemiche, con le opposizioni che avevano chiesto l’immediato passo indietro dell’assessora. Dopo giorni di tensione, però, il caso si era sgonfiato subito: calati juncu ca passa la china. Un proverbio che può diventare condotta di vita. Forse anche questa volta.