Musica

Alla scoperta della nuova club culture: sperimentazioni e ricerca di dischi sconosciuti. Il racconto di Rossella Essence, Coca Puma e Eternal Love

I tre artisti sono tra i selezionati per la seconda edizione di Jameson Distilled Sounds

di Gabriele Scorsonelli
Sotto il cappello di Coca Puma - 3/4

Sotto il cappello di Coca Puma - 3/4

All’inizio il cappellino sempre calato sugli occhi era un espediente per sconfiggere la timidezza. Adesso, per Coca Puma (vero nome Costanza Puma), è anche un segno di riconoscimento. Cantautrice romana, musicista e anche producer classe 1998, unisce elettronica e dream pop ed è diplomata in composizione jazz al conservatorio Santa Cecilia della Capitale. Nel 2024 è stata inserita nel programma Radar di Spotify – che supporta gli artisti emergenti – e ha pubblicato il suo disco d’esordio “Panorama Olivia” con influenze tra dream pop, elettronica, nu-jazz, post rock e soul. Nello stesso anno ha composto la colonna sonora di “Quasi a casa”, film scritto e diretto da Carolina Pavone (che ha lavorato come assistente alla regia nei film “Tre piani”, “Gli indifferenti” e “Il sol dell’avvenire” di Nanni Moretti).

La tua musica spazia dal dream pop all’elettronica, passando per nu-jazz, post-rock e soul. Da cosa ti fai ispirare nella composizione delle canzoni, sia nelle musiche che nei testi?
Cerco sempre di sorprendermi, perché l’idea migliore o quel suono particolare magari arriva per caso, a volte per sbaglio, semplicemente perdendomi in quello che faccio. Poi ovviamente parte delle influenze vengono anche dai miei ascolti, cerco di lasciarmi ispirare da tanta musica diversa. Per quanto riguarda i testi non so dire bene, mi è sempre stato detto di avere il dono della “sintesi”, non mi dilungo troppo. Mi piace quando nelle arti letterarie si lascia molto spazio al fraintendimento, o meglio alla libera interpretazione, credo ci sia una forza enorme in questo. In sintesi direi che mi lancio un po’ su quello che sento che mi piace e che mi rappresenta.

Hai composto la colonna sonora di “Quasi a casa” di Carolina Pavone. Confrontarti con il linguaggio del cinema e delle immagini ha contribuito alla tua evoluzione artistica e se sì in che modo?
Totalmente. Lavorare in questo campo e approfondirlo mi porta da sempre ad arricchire la mia visione della musica. Avere un binario che altrimenti – senza le immagini, la storia e tutte le suggestioni che una pellicola può darti – non avresti, ti dona moltissime possibilità creative, ti porta in posti nei quali non andresti. Creare per il cinema e in generale comporre musica applicata mi è sempre piaciuto e spero di portare avanti la mia carriera anche in questa direzione così che possa alimentare, contaminare e ispirare il mio percorso.

Sei una collezionista di vinili. Puoi dirci tre album che ti hanno influenzato e in che cosa?
Colleziono da molto poco e raramente mi capita di comprare con la stessa frequenza di un vero collezionista. Il mio è più un hobby: quando viaggio mi piace esplorare negozi di dischi e comprare qualcosa. Se mi capita di trovare un disco che mi piace lo compro, ma non faccio ricerca. Detto ciò, tre album che per me sono stati importanti sono “Luar” di Gilberto Gil, “Playing piano for dad” di H Hunt e “Disco omonimo” degli Holy Hive. Il primo ha a che fare con il tropicalismo, che mi è sempre stato di ispirazione, come gli artisti che hanno portato avanti questo movimento e la libertà nella contaminazione musicale. Il disco di Hunt sposta l’attenzione su alcune cose che normalmente vengono nascoste nella creazione e registrazione di album e ne fa la sua forza: i rumori, i respiri, gli errori. Quello degli Holy Hive mi risuona molto sia musicalmente che umanamente: musicisti che alla fine di un tour con artisti di fama mondiale si chiudono in studio a fare quello che gli piace, un lavoro folk-soul che riprende un aspetto vintage forte, sia nel sound che nella composizione, ma lo traduce in qualcosa di personale e contemporaneo con grande classe.

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