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La riscossione delle entrate locali passa a una società del Mef. Il governo teme la valanga dei debiti dei Comuni in dissesto

La manovra obbliga i sindaci meno virtuosi nel recupero dei crediti ad affidare la riscossione coattiva delle proprie entrate ad Amco, società controllata dal Tesoro. Che dovrà avvalersi di operatori privati, ma ne controlla uno
La riscossione delle entrate locali passa a una società del Mef. Il governo teme la valanga dei debiti dei Comuni in dissesto
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“Alcune sentenze della Cedu riconoscono al povero Stato l’ultima istanza per il pagamento dei debiti non onorati degli enti locali. Questa cosa impone allo stato di mettere dei presìdi”. Durante la conferenza stampa del 17 ottobre, post varo del ddl di Bilancio, la frase di Giancarlo Giorgetti è passata inosservata. Ma c’è proprio il timore – già raccontato dal Fatto – di una valanga di decreti ingiuntivi nei confronti dello Stato per i buchi dei Comuni dietro la contestata norma inserita in manovra che obbliga i sindaci meno virtuosi ad affidare la riscossione coattiva delle proprie entrate ad Amco, società controllata dal Tesoro nata per gestire i crediti deteriorati delle banche.

Un passo indietro: quella della riscossione è la fase in cui si tentano di recuperare debiti non pagati da cittadini e imprese. Ad oggi gli enti locali possono affidarla all’Agenzia delle Entrate Riscossione, che stando all’ultima ricognizione della commissione incaricata di esaminare il “magazzino fiscale” ha ancora in pancia ben 27 miliardi di loro crediti affidati tra 2000 e 2024 di cui poco più di 6,2 considerati effettivamente recuperabili. In alternativa hanno l’opzione di occuparsene in proprio, con o senza il supporto di società private. Il che in alcuni casi, come quello di Bologna che ha fatto scuola, porta risultati migliori.

Il tema è cruciale perché ne va della tenuta dei bilanci dei Comuni e della loro capacità di garantire servizi ai cittadini – meno incassano, più soldi devono congelare nel Fondo crediti di dubbia esigibilità – e ora anche delle casse dello Stato. Negli ultimi anni infatti la Corte europea dei diritti dell’uomo ha più volte sentenziato che il governo deve assicurare l’esecuzione dei crediti rimasti insoddisfatti a causa del dissesto di un ente. E a settembre il tribunale di Roma ha emesso il primo decreto ingiuntivo nei confronti della presidenza del Consiglio, facendo suonare un campanello d’allarme.

Di qui la decisione di correre ai ripari a stretto giro in legge di Bilancio, mentre lo schema di decreto legislativo su tributi e federalismo fiscale previsto dalla delega del 2023 attende i correttivi chiesti dalla Conferenza Stato-Regioni. L’articolo 118 del ddl dispone che tutti i Comuni possano affidare il servizio ad Amco e che il passaggio sia obbligatorio per quelli che non arrivano a una soglia minima di riscossione delle entrate tributarie (Imu, Tari) ed extratributarie (multe, canoni, tariffe) da definire via decreto attuativo. Un obbligo peraltro senza sanzioni che lo rendano cogente. La mossa ha però fatto infuriare le società private iscritte all’albo della riscossione. La controllata del Mef infatti, stando all’articolo 118 della manovra, dovrà a sua volta avvalersi di “uno o più operatori da selezionarsi a seguito di procedura competitiva” tenendo conto tra l’altro di adeguatezza patrimoniale e finanziaria, capacità organizzativa e tecnologica, dotazione di sistemi di segregazione dei crediti. Il punto è che Amco ne controlla uno: si tratta di Exacta, acquisita nel 2023 e specializzata proprio nel “recupero giudiziale e stragiudiziale dei tributi non riscossi per conto della Pubblica Amministrazione locale”. Le altre società del comparto non ci stanno e lamentano, come ha scritto Il Sole 24 Ore, una indebita restrizione della concorrenza.

Come evidenziato la scorsa estate dall’Anci, inoltre, c’è un nodo strutturale che il mero diktat di passare la mano a operatori privati non risolverà. Si tratta del pieno accesso a tutte le banche dati che contengono informazioni preziose per la riscossione coattiva, senza il quale l’operazione rischia di essere solo di facciata. Anche se dietro i bassi tassi di riscossione di molti enti locali può celarsi la scarsa volontà politica degli amministratori di colpire nel portafoglio il proprio elettorato, va considerato che oggi anche i Comuni virtuosi scontano i ritardi su quel fronte. A partire dal mancato accesso diretto all’Archivio dei rapporti finanziari, tuttora inibito perché la norma del 2020 che consentiva agli enti di sapere quanti soldi hanno i loro debitori sul conto corrente è rimasta inattuata. Ora la speranza è che la situazione stia per sbloccarsi, visto che lo schema operativo della convenzione tra Agenzia delle Entrate e gli enti locali è all’esame del Garante della Privacy per il via libera.

L’associazione dei Comuni guidata da Gaetano Manfredi è comunque soddisfatta perché ha ottenuto dal Mef una contropartita che chiedeva da tempo: il primo comma dello stesso articolo 118 consente a chi riesce ad incassare di più migliorando la riscossione di liberare risorse oggi bloccate nel Fondo crediti di dubbia esigibilità, a patto che sia stato adottato “un progetto, almeno triennale, diretto a rendere strutturale il miglioramento accertato”. Previsto anche un monitoraggio nazionale dei risultati e l’obbligo di migliorare l’accuratezza delle previsioni di cassa, in modo da ridurre i ritardi nei pagamenti ai fornitori.

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