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“Da ingegnera mi sono reinventata coach a Chicago. Qui accompagno gli italiani nella loro nuova vita da expat”

Simona Pappalardo dal 2024 si è messa in proprio e dopo un percorso di studi ha iniziato a dedicarsi al coaching per espatriati, mettendo insieme le proprie competenze aziendali e le proprie esperienze di vita personali
“Da ingegnera mi sono reinventata coach a Chicago. Qui accompagno gli italiani nella loro nuova vita da expat”
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Il suo mestiere è costruire robot e lo sa per certo anche se è solo una bambina. Non sa nel dettaglio come si faccia, non può dire ancora come ci riuscirà. Sa solo che costruire robot sarà il suo mestiere. Lo sa da quando ha visto un anime nel vecchio tubo catodico della sua casa alle porte di Milano. Nei lunghi pomeriggi della sua infanzia, una bambina dai capelli rossi gioca con due amici che lei stessa si è costruita nel proprio laboratorio, e così Simona Pappalardo si scopre a proprio agio all’idea di muoversi tra circuiti e ingranaggi. Sono gli anni Ottanta, il futuro nella sua testa è un mondo in cui androidi e bambini sono amici e in cui le differenze tra macchine e umani si appianano grazie all’avanguardia scientifica. Nel suo domani, chi è figlio unico potrà avere al proprio fianco – proprio come Juny, la protagonista del manga di Yasuichi Ōshima – tutti gli androidi che decide di creare. “Chi costruisce i robot?”, chiede una sera Simona al suo papà. “Gli ingegneri elettronici”, le risponde il padre. Da lì, gli studi scientifici, la laurea in ingegneria, una carriera nel mondo dell’elettronica. Oggi Simona è ancora un’ingegnera, proprio come sognava da bambina, e allo stesso tempo non lo è più. Ha lasciato il suo lavoro per aiutare chi è emigrato come lei a integrarsi nel nuovo ambiente culturale. E assomiglia ancora a Juny, perché, al centro, ha messo di nuovo l’incontro con il diverso.

Quando parla, Simona cita i classici greci. Per Eraclito la realtà è un flusso costante di cambiamento, dove tutto è in movimento e si trasforma attraverso l’opposizione degli elementi. Non potremmo conoscere il concetto di “giustizia” senza quello di “ingiustizia”, non ci è data la possibilità di apprezzare il significato della “salute” senza avere presente l’idea della “malattia”. Con questa consapevolezza Simona va incontro al mondo, viaggia nel Sud-Est asiatico, si trasferisce in Malesia per un anno, dove incontra il suo attuale marito, e poi diventa coach a Chicago. “Chi si trasferisce in un Paese diverso, va incontro a due impatti culturali: quello personale e quello lavorativo. Adattarsi a un nuovo modo di guardare le cose è fondamentale anche per fare il proprio mestiere, persino quando è lo stesso lavoro che facevamo nel nostro Paese di origine”, spiega. Perché non si tratta solo di apprendere una lingua o scoprire differenti abitudini quotidiane. Cambiare Paese implica entrare in un’altra weltanschauung, una specifica concezione del mondo. Significa cambiare sguardo, accettare il diverso e cambiare senza perdere sé stessi. La Simona di Chicago assomiglia alla Simona che viveva a Milano, e allo stesso tempo è un’altra persona. Come la città dell’Illinois è più ottimista, coraggiosa, audace. Ha la “can do attitude”. E la insegna.

Dal 2024 Simona si è messa in proprio e dopo un percorso di studi ha iniziato a dedicarsi al coaching per espatriati, mettendo insieme le proprie competenze aziendali e le proprie esperienze di vita personali. “Ho trovato la mia voce, capito chi sono e cos’ho da dare al mondo”, racconta con emozione quando riflette sul proprio cambio di vita. Così aiuta gli altri a fare altrettanto: “Un italiano che si ritrova a fare il manager negli Stati Uniti realizza che il modo di fare business cambia se cambiano il luogo in cui si trova l’azienda e la nazionalità dei tuoi colleghi. ‘Perché non riesco più? Perché la mia leadership non funziona più?’. Le ragioni sono culturali, non tecniche”. Attraverso una serie di incontri mirati, Simona guida i professionisti in un percorso di messa in discussione e riscoperta della propria voce e del proprio modo di stare nel mondo e nell’azienda. “Spesso seguo anche i compagni e le compagne di chi si trasferisce per lavoro, cioè coloro che di fatto si spostano per seguire l’altro, senza però avere ancora un lavoro. In questo caso la crisi identitaria è più evidente, ed esplode prima. Il mio ruolo comprende quindi sia un sostegno emotivo, sia una guida pratica: ‘Cosa facevi prima? È possibile farlo qui? Come?”. Strategie che spiega anche nel proprio libro, “Authentical Yours. The Global Woman’s Guide to Confident Cross-Cultural Leadership”, un ibrido tra memoir e manuale in uscita a dicembre.

Oggi il suo cartone preferito non è più Hāi Step Jun (in Italia Juny Peperina), ma Up della Pixar. Insieme a suo marito e a sua figlia di 3 anni, a volte Simona sogna di mettere i palloncini alla propria casa e girare per il mondo proprio come fa Carl, il burbero vedovo di 78 anni che per onorare il ricordo della moglie va a vedere le Cascate Paradiso. Perché ciò che più le interessa, nella vita, è esplorare il diverso. Così quando sente la manager greca che vive in Italia, il lavoratore italiano che abita a New York, la professionista malesiana che si è trasferita in Illinois come suo marito, le sembra proprio di mettere i palloncini e accorciare le distanze. Tra i grattacieli di Chicago e il lago Michigan, conduce la propria esistenza pensando in una lingua straniera e parlando più lingue nella propria stessa casa. Senza mai perdere le proprie origini: “Mia figlia studia l’italiano, leggerà i Promessi Sposi, conoscerà la cultura della Malesia, e sarà allo stesso tempo anche una giovane donna di Chicago”. E così tutto si tiene insieme: i robot di Juny e gli studi ingegneristici, i viaggi intercontinentali e la cultura di tutti i luoghi in cui ha vissuto, l’idea che per adattarsi al nuovo si debba conoscere sé stessi. E l’intenzione di continuare a scoprire il reale attraverso l’opposizione degli elementi.

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